Gaudio (Sapienza): «Pronti ad aumentare accessi ma una abolizione sarebbe non sostenibile per gli atenei». E spunta la proposta, a titolo personale, del presidente dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema universitario e della Ricerca: «Test su materie comuni dopo tre mesi e, per chi non lo passa, la possibilità di usare quei CFU in altre facoltà»
L’abolizione del numero programmato per l’accesso alla Facoltà di Medicina continua a far discutere il mondo accademico e medico. Mentre alla Camera parte in Commissione Cultura la discussione dei quattro disegni di legge in materia, i rettori continuano ad esprimere la loro netta contrarietà. Lo hanno fatto nel corso del convegno “Numero chiuso a Medicina: risorsa o Tabù”, organizzato dalla senatrice Paola Binetti, che ha visto la presenza del ‘gotha’ dell’università romana: da Eugenio Gaudio, Rettore dell’università La Sapienza, a Giuseppe Novelli, numero uno di Tor Vergata, fino ad Andrea Lenzi, presidente del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e dell’intercollegio di Area Medica, e Stefania Basili, Presidente della Conferenza dei Presidi del Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia.
Da loro un coro unanime: il numero chiuso non si può abolire perché altrimenti l’università italiana rischierebbe il collasso e la qualità dei medici andrebbe inesorabilmente a diminuire. Un’idea che però rischia di scontrarsi con la volontà della maggioranza M5S-Lega che invece sembra orientata all’abolizione del famigerato test contestato da studenti e famiglie anche a colpi di ricorsi in tribunale. Al convegno erano presenti anche Salvatore Sciacchitano, Capo della Segreteria del Sottosegretario alla Salute Armando Bartolazzi, e Francesca Delle Vergini, Capo della Segreteria politica del Viceministro all’Istruzione, Università e Ricerca, che invece hanno invitato i rettori a confrontarsi con tutte le parti in causa per trovare una soluzione, a cominciare dalla controparte studentesca.
Il rettore Eugenio Gaudio, che ha parlato anche a nome della CRUI, è tra i più contrari all’abolizione del numero chiuso, una posizione che è stata portata anche all’attenzione del ministro dell’Istruzione Marco Bussetti: «Il Ministro è pienamente consapevole delle difficoltà che ci sono con una abolizione del numero programmato e della difficile sostenibilità di questa scelta per gli atenei. Tanto è vero che lo ha scritto in un comunicato congiunto con il Ministro della Salute. Se è necessario aumentare il numero la CRUI dà la piena disponibilità. È importante però aumentare anche il numero dei contratti di formazione per gli specializzandi perché l’imbuto formativo è lì».
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Gaudio ha contestato anche l’ipotesi di introdurre un sistema alla francese in cui l’accesso è consentito a tutti ma poi nel corso del primo anno sia prevista una selezione degli studenti in base ai risultati raggiunti, un sistema in parte ripreso dal Disegno di legge del leghista Paolo Tiramani, tra i primi a depositare un Ddl in materia in questa legislatura. Uno dei problemi è l’alto numero di studenti che ogni anno si presentano al test (oltre 65mila quest’anno) in Italia, a differenza dei numeri più contenuti che si hanno, ad esempio, in Francia e Gran Bretagna: «Non esiste nessuna parte del mondo – spiega Andrea Lenzi – in cui non ci sia un numero programmato in Medicina perché lo studente di medicina costa dieci volte quella che è la retta pagata e se vogliamo fare un medico che possa garantire una buona salute a noi e ai noi nostri figli la frequenza deve essere obbligatoria. Con una iscrizione e una immatricolazione di tutti quelli che desiderano entrare non si potrebbe consentire la frequenza obbligatoria. Questo porterebbe ad avere dei medici di cattiva qualità oppure un costo spaventoso per lo Stato per produrre una quantità di medici che non servono».
Anche per Lenzi il modello francese non può funzionare in Italia: «Il modello francese significa far perdere un anno agli studenti – spiega Andrea Lenzi – Significa spostare dopo un anno la decisione: poi bisogna essere abbastanza forti e rigidi da poter dire che dopo un anno uno studente che non ha fatto un numero di esami congruo va a fare un altro mestiere rispetto a quello che aveva scelto».
Sulla stessa lunghezza d’onda la senatrice Paola Binetti, membro della Commissione Sanità del Senato, che sottolinea: «Oggi la facoltà di Medicina, in tutte le sedi, laurea oltre il 93% dei suoi studenti, con questa immissione selvaggia il parametro qualitativo dei corsi di laurea, anche al livello internazionale, non potrà che ridursi. È bene che l’attuale governo rifletta e ragioni su tre indicatori: la formazione di tutti i medici necessari al SSN; formarli nel miglior modo possibile e selezionarli in tal senso».
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Una mediazione sembra arrivare da Paolo Miccoli, endocrinologo e Presidente dell’ANVUR, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema universitario e della Ricerca, che aveva presentato in passato, a titolo personale e non a nome dell’ANVUR, una proposta di riforma del numero chiuso che in sostanza contemperasse le due esigenze contrapposte, che prevede un semestre formativo aperto a tutti con tre materie e poi un test finale solo su queste tre materie. «Il progetto – spiega Miccoli – si basa sostanzialmente su un assunto: tutti gli studenti che desiderano provare gli studi in medicina possano partecipare. Ci sarebbe un semestre formativo breve, in cui gli studenti si applicano allo studio di tre materie. Noi avevamo pensato a fisica, Biologia applicata e Biochimica e che conferiscano 18 crediti formativi. Al termine di queste semestre breve c’è un test nazionale in cui le domande sono le stesse per tutti ma soltanto su queste materie. Dopo di che c’è l’acquisizione di una graduatoria nazionale che consente la prosecuzione degli studi in medicina agli studenti più bravi mentre i crediti acquisiti dagli altri studenti sarebbero comunque spendibili in tutte le aree della ‘Scienza della vita’». Chissà che la mediazione di Miccoli alla fine non possa alla fine mettere d’accordo tutti.