Contributi e Opinioni 10 Dicembre 2018 13:39

Perché possiamo parlare della morte

di Johann Rossi Mason, Giornalista medico scientifico

Ci sono conversazioni più difficili di altre nel corso della nostra esistenza e tra queste ci sono sicuramente quelle che hanno a che fare con la morte. Fattori sociologici, culturali e religiosi si intrecciano tra loro ma la morte nell’era che stiamo vivendo non è argomento di conversazione. Anzi, ammantata di superstizione, è come la polvere nascosta sotto al tappeto: tutti sanno che verrà fuori ma tutti fanno finta di non vedere. Eppure aver trasformato la morte in un tabù e non in un fatto assolutamente naturale e inevitabile non fa bene a chi muore né a chi rimane, insomma a nessuno. Il 19 ottobre scorso il Royal College of Physicians inglese ha pubblicato il Rapporto dal titolo Talking about dying, insomma conversazioni oneste su come moriamo e come vorremmo farlo. Perché se morire è inevitabile, diverso è il discorso sul ‘come’: possiamo avere ancora un certo controllo, almeno in alcuni casi. E si è visto che prendere decisioni sul proprio fine vita facendone argomento di discussione permette un trapasso più sereno, insomma, una morte migliore.

Serviva che si scomodasse proprio una autorità come quella inglese che ha preso atto come la morte sia un argomento sgradito proprio dalla classe medica che la vive come una sconfitta. I medici considerano la morte un fallimento della medicina moderna e il risultato è una certa ‘solitudine del morente’, che insieme alla famiglia si sente inascoltato e abbandonato.

Su una morte che possa essere percepita come ‘amica’ invece c’è moltissimo da fare, anche attraverso la formazione dei giovani medici e il recupero di abilità di ‘cura’ che non siano solo tecniche e tecnologiche. Servono invece piani di assistenza ad hoc del fine vita che prevedano strutture, assistenza domiciliare, scelte di trattamento, decisioni condivise. Tutti fattori che contribuiscono a dare dignità, migliore controllo dei sintomi, esperienze meno traumatiche, mentre non sollevare la questione significa mettere a repentaglio questi benefici.

Affrontano questo delicato problema, Paolo Trenta e Marta De Angelis nel bel volume “In modo giusto – Medicina narrativa nelle cure di fine vita” (Bulgarini editore), che racconta il percorso e l’evoluzione delle cure palliative nel Mondo e in Italia.

In modo giusto” è la proposta di un ascolto che confluisce in un racconto e porta dritto all’identità completa e complessa di una persona. Un percorso di vita che ha molto da dire su come si può e si vuole morire.

In nessun’altra epoca si è vissuto così a lungo e così in buona salute, ma inutile illudersi, perché il momento della fine arriva per tutti. La tendenza è rimuovere questo momento dal pensiero e dalla vista, quello che è definito da Norbert Elias la “solitudine del morente”. È una rimozione collettiva dell’idea stessa di morte.

Tiziano Terzani ha acutamente osservato che abbiamo levatrici che ci aiutano a nascere, ma nessuno che ci aiuti a morire. Perché non pensare che possa esistere anche un modo per “dormire bene”? Per trascorrere gli ultimi giorni con il minimo di sofferenza possibile e nel contesto migliore in uno spazio fisico e psicologico in cui le scelte vengono condivise con il paziente a suo esclusivo beneficio.

Cure su misura per la persona e la sua famiglia, accomunati dall’ansia, dall’impossibilità di pensare a un dopo, bloccati nell’interrogativo del senso della nostra esistenza terrena.

Una elaborazione che la moderna biomedicina con il suo tecnicismo efficiente ha oscurato insieme alla personalità e allo status del paziente, che diventa la sua malattia.

Può esistere quindi un “modo giusto” di morire e di averne un consolatorio controllo. Se ne occupano in Umbria i soci di una associazione: Aglaia, che si occupa di assistere i pazienti affetti da malattie cronico-degenerative in fase avanzata.

Le storie toccanti che chiudono il libro sono consolazione e balsamo di umanità, strumenti per la qualità di vita anche per un giorno solo o un solo minuto.

 

Johann Rossi Mason – Giornalista medico scientifico

Articoli correlati
Medici, psicologi e infermieri: arriva il primo documento per supportare il paziente che chiede di morire
Per la prima volta in Italia, un tavolo di lavoro composto da psicologi, medici, infermieri, assistenti spirituali, bioeticisti, giornalisti e familiari si è riunito con l’obiettivo di garantire una risposta condivisa e multidisciplinare alla domanda del paziente che chiede di revocare, rifiutare o accedere al suicidio volontario medicalmente assistito circostanziato. L’esito di questo lavoro è disponibile gratuitamente sul sito dell’Ordine degli Psicologi del Lazio
Morire di parto nel 2022: quando (e perché) il lieto evento si trasforma in tragedia
Il recente caso di Napoli spaventa. Viora (AOGOI): «La maggior parte dei decessi si può prevenire anche prima di arrivare alla sala parto. Fondamentale la formazione del personale»
Che cos’è il Fantamorto e perché attrae così tanti concorrenti. Le risposte dello psicoterapeuta
Il presidente dell’Osservatorio violenza e suicidio Callipo: «Tra i più giovani, questi giochi possono trasformarsi in mezzi di autogratificazione o autoaffermazione all’interno del gruppo dei pari»
di Isabella Faggiano
La sepsi causa 1 morto su 5 nel mondo. A rischio i bambini delle aree più povere
E' quanto emerge dalle analisi pubblicate sulla rivista 'The Lancet' e annunciate al meeting annuale della Critical Care Review a Belfast. Lo studio, condotto da ricercatori dell'Università di Pittsburgh e dell'Università di Washington, parla di 48,9 milioni di casi di sepsi nel mondo nel 2017 con 11 milioni di decessi
Ragazzo deceduto nell’ora di ginnastica: la Lega Italiana contro l’Epilessia fa chiarezza
Dai primi riscontri, sembra che il ragazzo deceduto a Castelfranco Veneto, per cause ancora imprecisate, durante l’ora di ginnastica a scuola, soffrisse di epilessia. Ecco le precisazioni e raccomandazioni della Lega italiana contro l’epilessia
GLI ARTICOLI PIU’ LETTI
Advocacy e Associazioni

Percorso Regolatorio farmaci Aifa: i pazienti devono partecipare ai processi decisionali. Presentato il progetto InPags

Attraverso il progetto InPags, coordinato da Rarelab, discussi 5 dei possibili punti da sviluppare per definire criteri e modalità. Obiettivo colmare il gap tra Italia e altri Paesi europei in ...
Advocacy e Associazioni

Disability Card: “Una nuova frontiera europea per i diritti delle persone con disabilità”. A che punto siamo

La Disability Card e l'European Parking Card sono strumenti che mirano a facilitare l'accesso ai servizi e a uniformare i diritti in tutta Europa. L'intervista all'avvocato Giovanni Paolo Sperti, seg...
Sanità

I migliori ospedali d’Italia? Sul podio Careggi, l’Aou Marche e l’Humanitas di Rozzano

A fotografare le performance di 1.363 ospedali pubblici e privati nel 2023 è il Programma nazionale sititi di Agenas. Il nuovo report mostra un aumento dei  ricoveri programmati e diu...