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Il responsabile del Centro di Riferimento Alcologico della Regione Lazio: «Colpisce principalmente il sistema nervoso centrale, ma la Sindrome è evitabile al 100% se una donna incinta non consuma sostanze alcoliche»
«Anomalie fisiche e mentali, alterazioni comportamentali, deficit di attenzione e apprendimento». Sono solo alcuni dei danni provocati dalla Sindrome alcolica fetale.
Una sindrome per cui, almeno per ora, non esiste cura». È Mauro Ceccanti, responsabile del Centro di Riferimento Alcologico della Regione Lazio (Crarl), a mettere in guardia tutte le donne in dolce attesa dai danni che il consumo di alcol potrebbe causare al piccolo che portano in grembo.
Ma se da un lato non esistono terapie efficaci, dall’altro la Sindrome è evitabile al 100% adottando un corretto stile di vita durante la gravidanza:«Sono affetti da questa sindrome i figli di madri che durante la gestazione hanno consumato sostanze alcoliche. Non sono necessarie enormi quantità di alcol – ha sottolineato Ceccanti – bastano piccole dosi per dare alla luce un bambino con Sindrome alcolica fetale». L’alcol, infatti, è in grado di attraversare la barriera placentare e arrivare al sangue fetale, raggiungendo una concentrazione simile a quella materna.
I danni maggiori si rilevano a livello del Sistema Nervoso Centrale: «Il sintomi del disturbo possono essere confusi anche con altre problematiche, poiché spesso – ha detto il responsabile Crarl – sono caratterizzati da deficit di attenzione e di memoria o iperattività. Ma aldilà delle specifiche conseguenze – ha commentato Ceccanti – di certo darà vita ad un bambino disabile, che avrà problemi nella sua vita adolescenziale e poi anche da adulto».
Quale assistenza è possibile offrire ad un bambino affetto da questa sindrome? «L’unico modo che abbiamo attualmente a disposizione per intervenire sono le terapie pedagogiche. Un supporto necessario affinché questi bambini possano essere reinseriti nella vita sociale. Molte famiglie non sanno come affrontare il problema: il Servizio Sanitario Nazionale, pur riconoscendo questa patologia, avendogli dato un codice di malattia rara, non offre nessun trattamento in regime di convenzione. La Sindrome alcolica fetale – ha aggiunto Ceccanti – è stata identificata nel 1968 dal pediatra francese Paul Lemoine. Ma solo nel ’73 è stata conosciuta in tutto il mondo grazie alla pubblicazione di alcuni articoli scientifici sul Lancet, a firma di Jones. Oggi, a distanza di quasi mezzo secolo, non sono state ancora individuate terapie farmacologiche efficaci, ce ne sono solo alcune in fase sperimentale».
E in attesa di cure che possano contenere i danni della Sindrome, l’unica arma a disposizione per scongiurare che nascano altri bambini affetti da questa Sindrome è la prevenzione: «Basterebbe imitare Stati Uniti, Inghilterra e Francia – ha detto Ceccanti – riportando un simbolo che indichi il divieto di alcol durante la gravidanza su tutte le etichette delle bevande alcoliche e sui messaggi pubblicitari. Non serve non bere tutta la vita, ma evitarlo tassativamente durante gravidanza e in allattamento. I danni sono generalmente permanenti, mentre è importante affermare – ha concluso l’esperto – che la Sindrome alcolica fetale è evitabile al 100% se una donna non consuma alcol durante la gravidanza».