L'Arte che cura 19 Dicembre 2018 15:41

Danzaterapia: il movimento che promuove l’integrazione emotiva, sociale, cognitiva e fisica dell’individuo

La danzaterapeuta: «Adatta a bambini, adolescenti, adulti, anziani, persone con disturbi psicologici e relazionali, con patologie e disabilità motorie o cognitive»

di Isabella Faggiano

«Percepirsi al riparo dal giudizio, dalle abitudini, dai ruoli socialmente acquisiti, favorendo possibili riconfigurazioni dell’esperienza, di sé». È cosi che Silvia Rampelli, docente del Master in Artiterapie, della Sapienza Università, descrive le finalità della danzamovimentoterapia.

«Questa pratica terapeutica – ha continuato la danzaterapeuta – tematizza l’esperienza della corporeità e del movimento come dimensione primaria della persona, può dunque riguardare senza eccezione qualsiasi fascia di età, stato di salute, condizione sociale, culturale. Può avere valenza formativa, preventiva, socializzante, di accompagnamento in particolari fasi della vita o più propriamente rappresentare un’azione di risposta a una problematica conclamata. È  l’effettivo inquadramento dell’utente a determinare la definizione degli obiettivi e la strutturazione di percorsi specifici e congrui».

Può essere praticata in grandi e piccoli gruppi o in incontri individuali:«È adatta a bambini, adolescenti, adulti, anziani, persone con disturbi psicologici e relazionali, con patologie e disabilità motorie o cognitive. L’intervento – ha commentato Rampelli – può focalizzare in modo prioritario aspetti legati alla meccanica del corpo (propriocezione, forza, resistenza, flessibilità, coordinazione, postura, equilibrio), alla sfera cognitiva (sensorialità, attenzione, memoria, apprendimento,  percezione dello spazio e del tempo, immaginazione) come modalità di contrasto a un decadimento funzionale, può privilegiare pratiche corporee che promuovano la dimensione espressiva, relazionale».

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Le radici della danzamovimentoterapia, che risalgono agli anni ’40 del secolo scorso, sono state piantate negli Stati Uniti e in Inghilterra. «Nel 1966 – ha detto la danzaterapeuta – viene fondata l’Associazione Americana di Danza Terapia, che definisce la danzaterapia come “l’uso psicoterapeutico del movimento al fine di promuovere l’integrazione emotiva, sociale, cognitiva, fisica dell’individuo”. In Italia, le prime pratiche risalgono agli anni ‘70 e, intorno agli anni ’80, si ha la nascita delle prime associazioni, i cui modelli principali derivati dalle esperienze di altri paesi sono essenzialmente tre: la danza movimento terapia a orientamento psicodinamico, quella a  orientamento antropologico e quella ispirata a principi della danzatrice argentina Maria Fux».

Il mondo scientifico guarda con interesse alle potenzialità terapeutiche della danza «in quanto – ha specificato Rampelli – attività complessa che implica la gestione dinamica di processi motori, cognitivi, relazionali, motivazionali, socialmente coinvolgente, capace di incidere sulla percezione della qualità di vita e con valenza potenzialmente neuroprotettiva e neuroplastica. D’altra parte – ha sottolineato la danzaterapeuta – l’ampiezza e l’eterogeneità dei possibili obiettivi di intervento, dei modelli applicati e dei contesti di utilizzo rendono la letteratura relativa alle ricerche prodotte frammentaria e spesso deficitaria rispetto alla durata e al numero di soggetti coinvolti. Sarebbe tuttavia auspicabile per la conoscenza e la diffusione della danza movimento come strumento terapeutico, accanto alla crescita della pratica clinica e all’aumento delle ricerche con criteri di scientificità – ha concluso l’esperta – , la messa a punto di modelli in grado di cogliere e valutare la ricchezza dei livelli e dei processi che la danza attiva».

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