Nella gestione di queste patologie grandi disparità tra le regioni. La consulente per la Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma: «Poter gestire le cure in casa, soprattutto quando si tratta di trattamenti da effettuare costantemente, anche per più volte durante la settimana è un salto di qualità per un paziente cronico e per la sua famiglia»
Un’Italia a macchia di leopardo quella dell’assistenza sanitaria alle malattie croniche, soprattutto quando si tratta di patologie rare. È risoluta nell’affermarlo Rossella Parini, specialista in Pediatria e in Genetica Medica, consulente per la Fondazione Monza e Brianza per il Bambino e la sua Mamma presso l’Ospedale San Gerardo di Monza. Si fanno riforme, proposte di legge e nuovi regolamenti ma la ricaduta sul cittadino sembrerebbe ancora inefficace, in particolare il paziente paga la disparità territoriale per cui «ogni Regione gestisce l’assistenza in maniera diversa dall’altra», commenta la dottoressa.
Una soluzione a questa frammentazione regionale potrebbe essere «l’assistenza domiciliare – prosegue -. Ma anche in questa possibilità di cura, il nostro Paese si esprime in maniera diversa a seconda delle zone, ed è un dato di fatto che alcuni cittadini possono godere della terapia domiciliare e ad altri invece ne viene negato l’accesso».
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Il cittadino non si sente al centro della cura, soprattutto quando si tratta di terapie croniche. In tal senso parla chiaro l’ultimo Rapporto di Cittadinanzattiva sulle politiche della cronicità che oltre a denunciare la mancanza di assistenza psicologica per malati cronici e rari insieme a lunghe liste d’attesa ingestibili, sottolinea la carenza di soddisfazione dell’utenza rispetto all’assistenza domiciliare: infatti il numero di ore di cura erogate a domicilio risulta insufficiente per il 61,9% della popolazione.
L’obiettivo comune di tutti gli attori del sistema dovrebbe dunque essere quello di «modificare il trattamento cercando di aprire le porte a quello domiciliare», che porterebbe oggettivamente molti vantaggi tra i quali uno sgravio economico sul sistema sanitario.
«Noi tutti che ci occupiamo di malattie rare in Italia – racconta la dottoressa -, siamo molto in contatto con le associazioni territoriali, facciamo parte dei comitati scientifici e spingiamo in questo senso perché si compatti questa frammentazione che distingue cittadini di serie A da cittadini di serie B».
Poter gestire le cure in casa, soprattutto quando si tratta di trattamenti da effettuare costantemente, anche per più volte durante la settimana «è un salto di qualità per un paziente cronico e per la sua famiglia – conclude la dottoressa -, questo è quello che dobbiamo riuscire ad attuare in maniera omogenea in tutte le Regioni».