Si aggirano negli ospedali del Nord Italia e promettono soldi, carriera e una vita più semplice al di là delle Alpi. Sono dei veri e propri talent scout e portano all’estero i professionisti più ricercati, contribuendo ad aggravare la carenza di specialisti che sta svuotando le corsie delle nostre strutture. Giovanni Leoni (FNOMCeO): «Così perdiamo qualità intellettuale importante per l’evoluzione della classe medica»
Uno stipendio doppio se non triplo. Casa pagata. Un viaggio di rientro all’anno già spesato. Trasferimenti organizzati e documenti pronti. Un tutor per imparare la lingua. La promessa di prospettive di carriera migliori e di una vita meno stressante. Il copione recitato dai “procacciatori di medici”, come sono già stati definiti, è sempre lo stesso. Il loro obiettivo è convincere medici italiani a trasferirsi in altri Paesi europei, soprattutto Germania, Francia, Inghilterra, Olanda e Danimarca, e le promesse alletterebbero chiunque. Soprattutto i giovani camici bianchi usciti da poco dalle scuole di specializzazione, che magari combattono con il precariato, con il blocco del turnover ed i pochi concorsi a loro dedicati. Senza dimenticare che fanno parte della generazione Erasmus, già abituata ad immaginare la propria casa in altri Paesi dell’Unione e non più disposta a tutto pur di rimanere nel Belpaese, vicino ad amici e familiari.
Il corteggiamento è graduale, e la tecnica utilizzata dai talent scout raffinata dall’esperienza. Si aggirano nei convegni e negli ospedali, soprattutto del Nord Italia, e puntano i professionisti più ricercati: ginecologi, ortopedici, anestesisti e rianimatori, pediatri. Li approcciano promettendo una vita ed un futuro più semplici e organizzano i primi colloqui a chi si mostra più interessato. Poi li invitano a visitare la città e la struttura pronte ad ospitarli, e sempre più medici italiani decidono di andarsene. Così l’Italia perde i suoi migliori professionisti, e regala ai fratelli europei i 150-200mila euro che ha investito per formarli.
Non si tratta di fuga di cervelli, ma di vera e propria caccia ai talenti. Che si aggiunge, ovviamente, al fenomeno dei giovani medici che decidono spontaneamente di partire e cercar fortuna all’estero, e delle “autodimissioni” di tanti professionisti che lasciano le strutture pubbliche per lavorare nel privato. E tutti seguono le stesse motivazioni e promesse: stipendi più alti e addio a turni massacranti.
Un capitale quotidianamente perso dal Servizio sanitario nazionale, che già combatte con un’endemica carenza di specialisti, inevitabilmente destinata a peggiorare nei prossimi anni. In base alle ultime statistiche, nel 2025 ne mancheranno 16.500. Perché l’emorragia di pensionamenti raggiungerà il suo culmine nel 2022 e perché il numero di posti messo a bando negli ultimi anni per l’accesso alle scuole di specializzazione era insufficiente. Se poi i (pochi) specialisti formati se ne vanno, di fronte ai numeri relativi al personale sanitario difficilmente tornerà il segno più.
«Per i medici più giovani che vogliono avere uno sbocco professionale diverso andare all’estero può essere sicuramente una soluzione adeguata», commenta ai nostri microfoni Giovanni Leoni, vicepresidente della FNOMCeO e segretario di CIMO Veneto. «In Italia formiamo i cervelli migliori, quelli più disponibili alle novità e anche a soffrire le conseguenze del trasferimento e della eradicazione dalla propria comunità. E la qualità del nostro percorso formativo è riconosciuta a livello globale – prosegue Leoni -. Non è un caso che negli Stati Uniti la percentuale maggiore della componente medica straniera è di origine italiana. Ma una volta che questi medici, soprattutto se giovani, cambiano residenza e si radicano all’estero, poi non tornano più in Italia. E così – conclude Leoni – noi perdiamo una qualità intellettuale importante per l’evoluzione della classe medica».