di Aldo Grasselli, Presidente FVM – Federazione Veterinari, medici farmacisti e Dirigenti sanitari
Riportiamo la lettere di Aldo Grasselli, presidente di FVM – Federazione Veterinari, medici farmacisti e Dirigenti sanitari indirizzata al Ministro della Salute Giulia Grillo in cui si invita la titolare della Salute a dar luogo il prima possibile a un tavolo per lo sblocco del contratto della dirigenza medica:
«Il Contratto dei dirigenti medici, veterinari e sanitari è in attesa di un confronto con il Governo.
Dopo alcune promesse avanzate il 16 gennaio dalle Regioni in un confronto tra OOSS, Assessori regionali e esponenti del Comitato di Settore in tema di risorse contrattuali (da verificare nella concretezza ed esigibilità) e dopo le garanzie dispensate dal Ministero della Pubblica Amministrazione sullo sblocco del contratto dei dirigenti del Servizio sanitario nazionale nell’incontro del 17 gennaio, il 22 gennaio abbiamo raccolto con favore l’impegno del Ministro Giulia Grillo a sostenere la nostra richiesta di emendare il Comma 687 della recente Legge di Bilancio, approvato in modo da spostare solo “per il triennio 2019 – 2021, la dirigenza amministrativa, professionale e tecnica del Servizio sanitario nazionale nell’area della contrattazione collettiva della Sanità”. Quest’ultimo argomento farà discutere ancora.
Decisivo per la sospensione dello sciopero di venerdì 25 gennaio fu, soprattutto, la proposta del Ministro della salute Giulia Grillo di convocare un tavolo tecnico, per consentire a OOSS e Governo (Salute-Mef-Funzione Pubblica) di affrontare il tema della RIA – retribuzione individuale di anzianità dei sanitari che andranno in pensione nei prossimi anni per non depauperare la massa salariale dei dirigenti del Ssn e favorire carriere professionali e compensazione del disagio lavorativo.
Stanno andando in pensione coorti numerosissime di dirigenti medici e sanitari con l’evidente favorevole occasione di rimpiazzare personale più costoso per anzianità e carriera in uscita con personale al primo incardinamento, molto meno costoso.
Nella massa salariale del personale che oggi va o sta andando in pensione è compresa una quota rilevante di Retribuzione Individuale di Anzianità.
Questa entità, che è legata allo stipendio di ciascun sanitario che andrà in pensione da qui al 2026 e ammonta a 32 milioni nel 2017, 47 milioni nel 2018, 35 milioni nel 2019, 38 milioni nel 2020, 44 milioni nel 2021, 40 milioni nel 2022, 39 milioni nel 2023, 35 milioni nel 2024, 31 milioni nel 2025, 28 milioni nel 2026, dovrebbe mantenere la sua funzione remunerativa del personale sanitario e dirigente per premiare le condizioni di lavoro particolari che nel personale della Pubblica Amministrazione si ritrovano solo nella sanità (turnazione h24 e presenza in servizio 365 giorni l’anno, pronta reperibilità, straordinari secondo i bisogni dei pazienti, rischio professionale) e per incentivare performance professionali e sviluppi di carriera specialistici e non solo dirigenziali-gestionali.
Ma il Governo non molla, e vuole riprendersi parte degli stipendi.
La questione aveva trovato adozione politica durante il precedente governo e aveva trovato un primo intervento positivo nel comma 435 della legge 75/2017 di bilancio per il 2018 (“emendamento Gelli”) che ha saputo definire un percorso idoneo, legittimo e ulteriormente percorribile e implementabile per remunerare un contratto che rafforzi la presenza delle migliori professionalità mediche e sanitarie nel Ssn e non nel privato.
Il Governo (oppure solo il MEF in ostaggio della Ragioneria? Cosa che sarebbe bene sapere dal Ministro della salute) si ostina quindi a voler sottrarre alla sanità quelle risorse per finanziare altri reparti della pubblica amministrazione?
Se già è difficile credere che nella sanità ogni pensionato sarà rimpiazzato da un nuovo assunto, anche per la mancanza di specialisti causata da anni di folle programmazione delle specializzazioni universitarie, la recessione denunciata dal Presidente Conte fa presagire addirittura all’Ufficio Parlamentare di Bilancio che nel 2019, per evitare l’aumento dell’IVA nel 2020, si debba taglieggiare ancora la spesa per la sanità.
In pratica si prevede che la spesa per il personale che il Ssn sosteneva 15 anni fa, ridotta dell’1,4%, dovrebbe pagare le professionalità e, dal 2019 in avanti, andranno tolti anche i circa 2 miliardi della RIA che da qui al 2026 non saranno più disponibili per il Ssn.
In buona sostanza il minor personale in servizio dal 2019 e successivi dovrà garantire i nuovi LEA facendosi ridurre la massa salariale per far risparmiare allo Stato 2 miliardi di euro in 10 anni, molto ma molto di più di quanto il Governo racconta che aggiungerà al Fondo sanitario nazionale.
Le Regioni – per ciò che loro compete – potranno chiamarsi fuori avendo dato prova di una volontà politica costruttiva se usciranno da qualche equivoco che disturba inutilmente il confronto, dando semplicemente contezza e garanzia dei loro impegni. In particolare dando garanzia che il 3,48% dell’aumento salariale decorrerà dal 1 gennaio 2018, che si può con certezza contrattare l’allocazione dei promessi 30 milioni per il 2018, che si è trovata la modalità per agganciare all’attuale contratto – in forma dinamica – la disponibilità determinata dal comma 435 della Legge di bilancio per il 2018 (“emendamento Gelli”) per dare il via al riparto delle somme stanziate dal 2019 al 2026.
Invece nulla si intravede sul piano delle relazioni OOSS-Governo.
Per sbloccare la partita, il tavolo di confronto proposto dal Ministro Grillo si deve aprire e deve essere concreto. Il tempo stringe.
Altrimenti si profila concretamente una nuova stagione di agitazioni sui luoghi di lavoro e scioperi, in attesa delle elezioni».