«Poi non stupiamoci se i reparti si desertificano, il territorio si sguarnisce e i medici vanno all’estero. Questa situazione non ha alcun senso». Così il presidente dell’Ordine dei Medici di Milano, che accoglie la proposta di istituire un Arbitrato della Salute
«Qualsiasi contenzioso risolto al di fuori delle aule di giustizio è bene accetta». Con queste parole il presidente dell’Ordine dei Medici di Milano, Roberto Carlo Rossi, accoglie la proposta di istituire un Arbitrato della Salute che contribuisca a diminuire il numero di contenziosi intentati nei confronti dei medici. Una categoria, quella dei medici, sotto attacco da diversi punti: non solo nelle aule dei tribunali, ma anche nelle stesse corsie, dove troppo spesso subiscono aggressioni o le conseguenze del blocco del turnover, che spingono sempre più camici bianchi a scappare all’estero: «Non si può massacrare così la classe medica – commenta Rossi -. Ormai siamo non solo al lavoro sotto pagato, ma anche sotto considerato».
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Presidente, sono ben 300mila le cause intentate contro i medici e gli operatori della sanità che giacciono nei tribunali. Cosa pensa dell’idea di istituire un Arbitrato della Salute, un luogo di compensazione che possa diminuire il numero dei contenziosi?
«Potrebbe essere un’idea. Qualsiasi contenzioso risolto al di fuori delle aule di giustizia, cioè con quelle metodiche alternative alle risoluzioni in ambito giudiziario, è bene accetta. La legge Gelli sulla responsabilità professionale è una legge molto importante e molto positiva, però purtroppo non ha risolto tanti problemi».
Un dato che emerge è che il 40% dei medici che si sono formati poi hanno meno problemi nel contenzioso. Lei pensa che si debba insistere sull’aggiornamento continuo?
«Una buona formazione è alla base di un professionista moderno, e su questo siamo ormai tutti d’accordo. Purtroppo fino a poco tempo fa questo è stato un campo lasciato un po’ all’improvvisazione, ma adesso le cose cominciano a funzionare e tutto comincia ad essere finalmente oliato. Adesso bisogna che gradatamente si entri nel meccanismo e, poi, si potrà pretendere un medico sempre aggiornato».
Questo è un periodo un po’ particolare per la categoria. Si parla di medici sotto attacco, che affrontano turni massacranti, subiscono il blocco del turnover, tanti camici bianchi decidono di andare all’estero… Cosa si può fare secondo lei per riequilibrare la situazione?
«Dirò una cosa forse poco ordinistica, ma è giunto il momento di dirla. I medici sono pagati poco e non hanno la possibilità di fare libera professione. Questa cosa non può andare avanti. Massacrare una classe così non ha alcun senso. Ormai siamo non solo al lavoro sottopagato, ma anche sotto considerato. Negli ospedali, anche nei più grandi, vengono presi sempre più medici a contratto libero professionale, con il vincolo di non poter fare nient’altro: si devono pagare la previdenza autonomamente e guadagnano meno dei colleghi con i quali lavorano fianco a fianco, facendo le stesse cose. I contratti dei dipendenti e dei convenzionati sono fermi da oltre 15 anni, e poi c’è un aumento continuo del contenzioso. È una situazione che non può reggere, non si può trattare la classe medica in questo modo. Poi non ci meravigliamo se i reparti si desertificano, il territorio si sguarnisce e i ragazzi non vogliono più lavorare in Italia o, addirittura, non vogliono proprio studiare Medicina. A queste condizioni mi sembra una cosa ovvia».