Il Presidente dell’Associazione Nazionale educatori professionali guarda positivamente alla proposta lanciata dal gruppo Consulcesi su una camera di conciliazione per gestire l’enorme mole di ricorsi: «Registriamo tante aggressioni»
Il tema del contenzioso medici-pazienti ha ormai travalicato l’ambito della professione medica per estendersi a tutte le professioni sanitarie. Lunghi contenziosi, ben 300mila nei tribunali di tutta Italia, che spesso finiscono in un nulla di fatto finendo solo per intralciare il funzionamento della giustizia e mettere a dura prova la vita dell’operatore sanitario. Proprio per risolvere questo problema il gruppo Consulcesi, network legale leader nella tutela degli operatori della sanità, ha promosso una petizione per lanciare l’idea di un Arbitrato della Salute, una camera di conciliazione con medici, avvocati ed esperti dove cercare di risolvere il contenzioso. L’idea, che è stata presentata con una conferenza al Ministero della Salute, trova una buona accoglienza anche nel mondo delle professioni sanitarie. «Potrebbe servire intanto a poter alleggerire di molto anche le cause e il lavoro dei tribunali», spiega a Sanità Informazione Nicola Titta, Presidente dell’Anep, Associazione Nazionale educatori professionali: «Il Csm – prosegue – in qualche maniera dovrebbe appoggiare questa possibilità ed è necessario che tutte le professioni possano partecipare ad un tavolo di lavoro cercando di mettere del proprio su questo tema».
Dottor Titta, anche nella vostra professione il tema dei contenziosi è all’ordine del giorno. Abbiamo visto che ci sono 300mila cause depositate nei tribunali contro gli operatori della sanità. Pensate che un arbitrato della salute, un luogo di compensazione, possa essere risolutivo in questo senso?
«Penso che sicuramente questo potrebbe servire intanto a poter alleggerire di molto anche le cause e il lavoro dei tribunali perché è complesso dare risposte in questo senso. Anche se tutte le professioni si stanno attivando avendo al loro interno dei CTU, Consulenti tecnici d’ufficio, questo sicuramente non basterà. Quindi l’arbitrato può essere un’ottima idea. Serve però che ci sia una rete intorno: il Csm in qualche maniera dovrebbe appoggiare questa possibilità ed è necessario che tutte le professioni possano partecipare ad un tavolo di lavoro cercando di mettere del proprio su questo tema».
Nel vostro ambito ci sono molti casi di contenziosi?
«Intanto noi registriamo sicuramente tante aggressioni. Lavorando con persone con problemi di salute abbastanza importanti come la salute mentale, il lavoro nel carcere, il lavoro con disabilità grave, capita spesso. Così come capita che la famiglia in qualche maniera tenti di rivalersi spesso sugli operatori».
Alcuni dati sulla formazione dicono che una buona parte dei camici bianchi formati escono fuori bene dal contenzioso. Per voi la formazione può essere importante anche in questo senso?
«Assolutamente sì, però io sottolineo che forse andrebbe fatta anche un’azione preventiva con la sottoscrizione di un codice deontologico anche da parte dell’esercente la professione. Secondo me in quel contesto andrebbe fatto un ragionamento un po’ più complessivo. Così come diamo la possibilità di abilitare le persone, dovremmo pensare di abilitarle nell’appropriatezza delle cure anche attraverso i codici deontologici e quindi con le responsabilità varie che l’esercente ha nei confronti della comunità e dell’utenza».