L’ex titolare della Salute è stata una dei protagonisti della legge, di cui si celebrano i 20 anni, che ha normato le professioni sanitarie: «Grazie a loro l’attività medica è più efficace. Si è compiuta una lunga evoluzione che è stata accompagnata anche da un cambiamento culturale sia dei cittadini che dei professionisti»
«Con la legge 42 del 1999 abbiamo fatto un buon lavoro di garanzia e per i professionisti è stata certamente una promozione di qualità». L’ex ministro della Salute Mariapia Garavaglia commenta a Sanità Informazione i 20 anni della legge 42 del 1999, che di fatto ha istituito le professioni sanitarie almeno così come le conosciamo oggi. Anche lei è stata tra i politici che hanno dato un contributo importante a un passaggio che in molti definiscono come una “rivoluzione culturale”: tra gli aspetti fondamentali della normativa l’abolizione dei mansionari per quelle professioni che ne erano dotate (infermieri, ostetriche, assistenti sanitarie, vigilatrici d’infanzia, tecnici di radiologia) e la piena equipollenza ai nuovi diplomi universitari dei diplomi ed attestati acquisiti con la precedente normativa dando, quindi, dignità professionale e scientifica agli operatori interessati. «La medicina non è solo la terapia farmaceutica ma è un intervento a sostegno sia della prevenzione che della cura. Perciò questa legge si inscrive nella dinamicità della sanità. Il sistema sanitario aperto a tutti è il pilastro dell’universalità: per tutti con tutte le professioni. Quindi da questo punto di vista la legge è stata un avanzamento anche della legge 833 istitutiva del SSN», commenta Garavaglia, oggi presidente del consiglio di amministrazione della Fondazione Luigi Maria Monti, a cui appartiene l’Istituto dermopatico dell’Immacolata.
Presidente, è stato difficile arrivare a questa legge? C’è voluto un lungo lavoro…
«Si, è stato faticoso. Era più facile, anche nella divulgazione pratica, ritenere che fosse l’atto medico l’atto più importante anche per la cura. Invece l’atto medico aumenta la sua possibilità proprio perché ci sono queste professioni che integrano l’attività del medico. L’infermiere, il fisioterapista, il tecnico di laboratorio che offrono le loro specialità al paziente rendono poi anche più efficace l’attività medica. Quindi la difficoltà c’è stata dal 1993, quando io ho fatto i profili, fino alla 42 del 1999 che ha allargato i profili delle professioni sanitarie, fino all’ultima legge Lorenzin del 2017, con l’istituzione degli Ordini, che ha completato un iter importantissimo sia per chi lavora ma anche per chi riceve le prestazioni».
Tra la legge del 1999 e quella istitutiva dell’Ordine sono passati tanti anni. Come mai?
«Se lei potesse analizzare il dibattito parlamentare vede che alcune professioni sembravano in conflitto tra di loro. L’ultima legge, la legge Lorenzin, aveva visto confrontarsi, con una certa durezza dialettica, gli osteopati con i fisioterapisti. A suo tempo i podologi nei confronti dei tecnici di ortopedia. Poi i tecnici odontoiatrici nei confronti degli odontoiatri. Ma nell’evoluzione delle professioni c’è stato sempre più bisogno di professionisti, quindi man mano anche quelle professioni che ritenevano di essere danneggiate hanno cambiato opinione perché diminuiscono i medici, sono pochi gli infermieri, quindi accanto ai medici le altre professioni integrano le prestazioni dando maggior qualità e avendo a disposizione una quantità maggiore di professionisti. È stata una lunga evoluzione che è stata accompagnata anche da una evoluzione culturale sia dei cittadini che dei professionisti».
Ora è stato istituito l’Ordine, adesso piano piano si stanno iscrivendo tutti i professionisti. Qual è secondo lei la sfida più importante per il futuro delle professioni sanitarie?
«La maggior continua qualificazione attraverso l’aggiornamento continuo e forse anche l’aggiunta di corsi di specializzazione avendo l’ordine o l’Albo come strumento di autodisciplina. Ora hanno a disposizione una propria capacità organizzativa e quindi senza entrare in conflitto con altri, ciascuno nel proprio ambito, avrà l’ambizione di sfidare se stessi nel miglioramento continuo anche perché siamo in Europa, abbiamo i confini aperti, per le professioni sanitarie come per altro e quindi la sfida è anche il confronto. Credo che dal confronto emergerà un sempre migliore apprezzamento dei nostri professionisti e le nostre capacità di preparazione anche accademica. C’è poi una ricerca che non è solo farmacologica, una ricerca che è organizzativa che è destinata ad ampliare le funzioni».