Secondo i dati del Forum Sociale delle Migrazioni 2018, svoltosi in Mexico, una persona su sette sul pianeta è migrante, avendo sperimentato una qualche forma di mobilità umana. Nel passato le migrazioni erano favorite, in Italia dal sud verso le industrie del Nord, e similmente in altre parti del mondo che soffrono denatalità e scarsa […]
Secondo i dati del Forum Sociale delle Migrazioni 2018, svoltosi in Mexico, una persona su sette sul pianeta è migrante, avendo sperimentato una qualche forma di mobilità umana. Nel passato le migrazioni erano favorite, in Italia dal sud verso le industrie del Nord, e similmente in altre parti del mondo che soffrono denatalità e scarsa popolazione. Oggi la tendenza a ostacolare la mobilità umana è diventata più radicata. Questa è la logica che ha portato al convegno “Migranti e salute: tra prevenzione, cura e fake news”, che vuole fare il punto sullo stato di salute e sui bisogni dei migranti in Italia.
«Promosso dall’Associazione Medici Endocrinologi (AME) il convegno si svolgerà il 21 marzo 2019 – spiega Edoardo Guastamacchia, presidente AME – e potrà contare sulla presenza delle principali organizzazioni che si occupano di questi temi portando il proprio contributo alla comprensione del fenomeno migratorio e nello specifico degli aspetti relativi alla salute-. Il luogo scelto non è casuale – prosegue – in Sicilia a Palermo dove i medici che accolgono, i medici di pronto soccorso, pediatri, ginecologi e psicologi hanno il compito di rispondere alle necessità di cura».
«Il numero dei migranti residenti a vario titolo sul territorio nazionale è pari a circa il 10% della popolazione generale – afferma Piernicola Garofalo, Unità operativa di Endocrinologia dell’Azienda Ospedali riuniti Villa Sofia-Cervello e responsabile scientifico del convegno – i livelli e le modalità di assistenza alla salute nelle sue varie declinazioni (prevenzione, diagnosi e terapia) sono estremamente difformi e poco tracciate. Vogliamo evidenziare alcuni aspetti cruciali dell’intero processo assistenziale. In particolare, procedere con una mappatura delle specificità dei bisogni di salute per questa parte di popolazione e, a seguire, le riposte ai bisogni testimoniate da varie iniziative assistenziali. Da ultimo, ma non meno importante, la gestione dell’informazione relativa alla potenziale trasmissibilità delle condizioni morbose degli immigrati».
«Per curare i migranti certamente la rimozione di ostacoli di tipo economico rappresenta una strada maestra ma vi sono altre barriere all’ingresso che debbono essere affrontate – spiega Carlo Devillanova, Professore di Economia Politica, Università Bocconi Milano che in uno studio ha messo a confronto gli accessi a medici di base, specialisti, ospedali e posti di pronto soccorso di immigrati e italiani sulla base dei dati contenuti nell’indagine “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” -. Abbiamo identificato – continua Devillanova – gli immigrati in base sia alla cittadinanza, sia al paese di nascita, portando così alla luce anche i percorsi sanitari degli immigrati di seconda generazione. A parità di condizioni, gli immigrati hanno circa il 45% di probabilità in meno di accedere a prestazioni specialistiche e il 45% in più di usufruire di cure prestate nei punti di pronto soccorso. Anche gli immigrati di seconda generazione ricorrono meno degli italiani agli specialisti, ma hanno il 60% di probabilità in più di farsi curare in ospedale. Non ricorrendo al medico di base, in entrambi i casi le patologie si aggravano fino a richiedere l’ospedalizzazione o l’intervento di pronto soccorso. Il motivo di questo approccio pare sia dovuto alle barriere che gli immigrati trovano: non si tratta di barriere di tipo economico, ma legate alla mancanza di informazione, alla complessità dell’apparato burocratico, a problemi linguistici». Quasi il 37% delle donne immigrate, per esempio, non ha fatto una diagnosi prenatale poiché non informata sulla sua esistenza, contro il 12% delle italiane.