La biologa dell’Umberto I spiega a Sanità Informazione i tre livelli della PMA: «Il primo è l’inseminazione intrauterina, al secondo appartengono le tecniche FIVET e ICSI, al terzo GIFT e micro-TESE. Le tecniche di ultimo livello necessitano di anestesia con intubazione»
Microscopi ad altissima definizione, provette per la coltura in vitro, incubatori per la crescita degli embrioni. Tutti macchinari di ultima generazione, rigorosamente collocati in un ambiente con una qualità dell’aria controllata, in cui è possibile accedere solo indossando abbigliamento e calzature dedicate, oltre a copricapi, mascherine e guanti. È qui, nel laboratorio dell’UOC Infertilità e FIVET dell’Umberto I di Roma, che abbiamo incontrato Antonella Linari, biologa dirigente dello stesso Policlinico.
Intenta nel suo lavoro, la dottoressa Linari sta osservando al microscopio uno degli embrioni in coltura e con sua grande sorpresa ci rivela che abbiamo davanti agli occhi un embrione triploide (con tre cromosomi per ogni tipo, ndr) «condizione – spiega Linari – per cui la stessa legge 40 sulla fecondazione assistita consente di non procedere al trasferimento in utero, a causa di un’evidente patologia già rilevabile con la semplice osservazione al microscopio. «Questo embrione – continua la biologa – si è formato utilizzando la ICSI, ossia iniettando un singolo spermatozoo direttamente all’interno dell’ovocita. Anche gli embrioni non evolutivi, ossia quelli che interrompono il loro sviluppo in vitro, non vengono trasferiti perché considerati non più vitali».
Le tecniche di Procreazione medicalmente sono suddivise in tre livelli: «Il primo – dice Linari – è la semplice inseminazione intrauterina, al secondo appartengono la FIVET o la ICSI e al terzo la GIFT e la micro-TESE. La differenza più importante tra il secondo e il terzo livello è nella tipologia di anestesia utilizzata: infatti, per procedere al prelievo degli ovociti, da inseminare successivamente o con tecnica FIVET o mediante ICSI, sarà sufficiente una sedazione profonda, per le altre tecniche di livello più avanzato sarà necessaria un’anestesia con intubazione».
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Perché si sceglie di effettuare una ICSI, piuttosto che una FIVET?
«È necessario valutare quali sono le problematiche legate all’infertilità della coppia – spiega Antonella Linari -. Se il problema è tubarico, dunque prettamente meccanico perché dovuto all’occlusione delle tube femminili ed il liquido seminale presenta parametri normali, si procede con inseminazione mediante FIVET. Ogni ovulo viene collocato su una piastra di coltura e “circondato” da un numero di spermatozoi che varia dai 100 mila ai 500 mila, per un tempo che oscilla dalle 12 alle 18 ore. In questo modo sarà lo spermatozoo più veloce e idoneo a fecondare l’ovocita, così come avviene anche naturalmente. Se invece l’infertilità è legata ad un problema maschile, come basso numero di spermatozoi, scarsa motilità e morfologia, allora si opterà per l’ICSI. Una scelta consigliata anche per quelle pazienti che hanno già effettuato uno o più cicli FIVET senza formazione di embrioni».
E quali sono le percentuali di successo di queste tecniche di secondo livello?
«In termini di gravidanza non c’è alcuna differenza – dice la biologa -. Variano, invece, i tassi di riuscita della fecondazione che con una FIVET si attestano intorno al 60-65%, percentuale che con una ICSI sale fino all’80-85%. Ma una volta che si è formato l’embrione, con l’una o con l’altra tecnica, non ci sarà nessuna differenza né in termini di sviluppo dell’embrione – conclude Antonella Linari – né in termini di gravidanza».