Intervenuta alla sessione “Meet my patient” del congresso EHRA a Lisbona, Anezka Gombosova, di Praga, ha spiegato ai cardiologi cosa significa convivere con il pacemaker. Poi li ha esortati: «Dovete imparare dai vostri pazienti»
Da piccola disegnava sempre cuori. Ancora non sapeva che il suo, di cuore, era sbagliato. Le hanno diagnosticato la trasposizione delle grandi arterie, difetto del setto intraventricolare e stenosi polmonare. A nove anni, il primo trapianto di pacemaker. Oggi ne ha 25, è fisioterapista e riesce a condurre una vita normale. Da Praga, dove vive, ha volato fino a Lisbona, dove è stata protagonista della sessione “Meet my patient” del congresso della European Heart Rhythm Association. Lì, ha raccontato ai cardiologi presenti in sala che cosa significa, per una giovane ragazza, convivere con un pacemaker.
All’inizio le trema la voce, ad Anezka Gombosova. Poi si fa forza e racconta la sua storia. Tacchi a spillo e uno zainetto sulle spalle, voce ferma e un inglese con cui è più difficile pronunciare i nomi dei difetti cardiaci congeniti che le hanno diagnosticato. «Non credo che avere un pacemaker abbia conseguenze particolarmente negative sulla qualità della mia vita – racconta a Sanità Informazione -. Senza parlare del fatto che mi ha salvato la vita, alla fine è questione di abitudine, poi sembrerà di averlo da sempre. Devi aspettare un po’ di più ai controlli di sicurezza all’aeroporto o non puoi utilizzare alcuni device a causa degli effetti dell’elettromagnetismo, ma alla fine la mia vita è come quella di tutti i miei coetanei».
Anezka sottolinea più volte, nel suo discorso rivolto ai cardiologi, l’importanza della collaborazione tra medici e pazienti, che l’ha aiutata molto a gestire la sua diagnosi: «Sapere di potermi affidare al mio medico, potergli chiedere qualunque cosa mi passi per la testa, è stato fondamentale per me. Non mi sono mai sentita una paziente, una malata, un numero, ma sempre un essere umano, con un nome e una storia. Io e il mio medico siamo sempre stati una squadra, anche da adolescente, e così ho mantenuto il controllo della mia vita nelle mie mani».
Poi Anezka si rivolge direttamente ai medici: «Potete e dovete imparare molto dai pazienti, perché a noi vengono in mente delle domande che non verrebbero mai a voi, e possiamo aiutarvi. E vorrei ringraziarvi, perché so che senza di voi non sarei qui. Mi avete regalato un secondo biglietto di ingresso, una seconda possibilità per la mia vita».