La Fondazione Vaccari celebra i suoi 80 anni di storia con il convegno “Etica in riabilitazione tra esperienza ed innovazione al servizio della persona”
Ricerca, formazione e nuove tecnologie dimostrano ancora una volta di poter dare vita a progetti di grande utilità sociale. È questo il caso dell’Istituto Leonarda Vaccari, uno dei centri italiani per la riabilitazione, l’integrazione e l’inserimento con maggiore esperienza nel campo delle disabilità fisiche e mentali, rivolto all’età evolutiva ed adulta.
La Fondazione Vaccari, in occasione del suo 80° anniversario, ha organizzato il convegno “Etica in riabilitazione tra esperienza ed innovazione al servizio della persona”. «Il convegno presenta tre aree – spiega ai microfoni di Sanità informazione Saveria Dandini De Sylva, presidente dell’Istituto –. La prima è quella sanitaria che vede le testimonianze di specialisti e neuropsichiatri infantili, delle mamme e delle nuove metodologie applicate. La seconda è l’inserimento scolastico di questi bambini, con una terapia comune alla scuola e alla sanità. Ed infine, la terza area è l’inserimento lavorativo: con metodo “ad personam”, anche grazie alla legge 68 e attraverso la chiamata libera, molti ragazzi hanno la possibilità di lavorare come vogliono, d’accordo con le industrie che possono sicuramente fare queste particolari assunzioni».
«Serve più attenzione nel nostro Paese nei confronti della disabilità». L’appello è quello di Massimo Squitieri, presidente della Corte dei Conti, presente al convegno. Risulta inoltre indispensabile unificare gli interventi a carattere sanitario con quelli di tipo sociale ed educativo, organizzando un progetto riabilitativo globale. Il prof. Alfredo Carfagni, medico chirurgo specialista in ortopedia e traumatologia, definisce l’Istituto un esempio da seguire: «Quando è nata la Fondazione Vaccari, nel 1935/1936, i grossi centri, come l’Università la Sapienza da cui vengo io, potevano solo operare questi bambini ma non li seguivano poi per la riabilitazione e la psicanalisi. La Vaccari, invece, rappresenta la coagulazione di varie unità che collaborano insieme. Il personale sanitario non solo partecipa alla prevenzione e deve essere in grado di relazionarsi con pazienti difficili e con i loro genitori, ma soprattutto deve saper padroneggiare le nuove tecniche che la ricerca e l’elettronica ci mettono a disposizione, anche per aiutare quindi i portatori di handicap a riuscire a manovrare apparecchiature che gli permettano di inserirsi nella vita lavorativa».
Le figure professionali che lavorano con il disabile svolgono quindi un ruolo chiave nell’aiutarlo a sviluppare le capacità per poter gestire al meglio le risorse offertegli dall’ambiente che lo circonda. A tirare le somme è il professor Gabriel Levi, Neuropsichiatra infantile che collabora con l’Istituto: «L’1% della popolazione soffre di seria disabilità intellettiva. Il personale, consapevole e formato, insieme alle nuove tecnologie disponibili, sono fondamentali per mettere al servizio della persona più ausili per padroneggiare l’ambiente».