La presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica ha presentato in Senato il rapporto. Promossa l’assistenza psiconcologica: «È garantita in molte strutture oncologiche ma nella maggior parte dei casi è sostenuta dal volontariato o dalle associazioni dei pazienti in quanto non ci sono psiconcologi strutturati in tutte le oncologie italiane». E chiede alla politica di occuparsi dei bisogni assistenziali dei 3 milioni 400mila italiani che hanno avuto un tumore
È un bilancio in chiaroscuro quello sullo stato dell’oncologia in Italia stilato da Aiom, l’Associazione Italiana di Oncologia Medica, e presentato alla Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani a Roma. Se i dati sulla sopravvivenza a cinque anni dalla comparsa della malattia sono importanti (63% donne e 54% uomini), il focus è andato al supporto psicologico dei malati oncologici: quasi l’80% delle 332 oncologie in Italia ha un servizio di questo tipo, ma solo il 65% garantisce l’assistenza domiciliare. «Ma bisogna tenere conto che nella maggior parte dei casi l’assistenza psicologica è sostenuta dal volontariato o dalle associazioni dei pazienti in quanto non ci sono psiconcologi strutturati in tutte le oncologie italiane», sottolinea la presidente AIOM Stefania Gori. Restano le differenze territoriali, che ancora oggi alimentano le liste di attesa e le migrazioni regionali, mentre le reti oncologiche sono attive soprattutto al centronord (con l’eccezione della Puglia). E poi il tema della presa in carico delle quasi 3 milioni e 400mila persone che vivono dopo la diagnosi di cancro, «un esercito che è necessario seguire: occorre dare risposte per quanto riguarda i loro bisogni assistenziali che sono nuovi, bisogni ai quali non siamo abituati neppure noi oncologi perché non eravamo abituati ad avere queste lunghe sopravvivenze o addirittura delle guarigioni», spiega Gori a Sanità Informazione.
Presidente, al convegno si è parlato dello stato di salute dell’oncologia in Italia. L’assistenza psicologica è garantita nella maggior parte delle 322 oncologie, ma ancora non ci siamo sull’assistenza domiciliare. Che quadro traccia?
«L’assistenza psiconcologica è garantita in molte delle strutture oncologiche che sono state censite nel libro bianco del 2018 ma tenete conto che nella maggior parte dei casi è sostenuta dal volontariato o dalle associazioni dei pazienti in quanto non ci sono psiconcologi strutturati in tutte le oncologie italiane. È per questo che c’è una grossa campagna che sta facendo anche la SIPO (Società Italiana di Psiconcologia, ndr) proprio per cercare di avere questi riconoscimenti perché sono importanti per seguire i pazienti nel loro percorso di cura ma sono importanti gli psiconcologi anche per dare sostegno ai lavoratori che lavorano tutti i giorni in oncologia. Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare anche lì è un pochino variegata la situazione anche per quanto riguarda la presenza degli hospice e dobbiamo lavorare moltissimo per cercare di collaborare al meglio tra medici che lavorano all’interno degli ospedali e medici che lavorano nel territorio perché questo consentirebbe una presa in carico del paziente nel momento in cui viene dimesso dalle degenze oppure termina i suoi trattamenti attivi da parte dei medici dell’assistenza domiciliare nel caso ne abbia bisogno o del medico di medicina generale nel caso in cui il paziente ormai è in follow up e su questo stiamo lavorando molto con la SIMG (Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie, ndr).
Ogni giorno mille persone si ammalano di cancro, una malattia con cui ormai oggi si può convivere. Una malattia che diventa sempre più cronica. Se lei dovesse individuare una esigenza per i malati di cancro o per la ricerca cosa chiederebbe alla politica?
«Sicuramente è necessario seguire questo esercito di persone che hanno avuto un tumore e che oggi sono vive in Italia e che sono oltre 3 milioni e 400mila e dare risposte per quanto riguarda i loro bisogni assistenziali che sono nuovi, bisogni ai quali non siamo abituati neppure come oncologi perché non eravamo abituati ad avere queste lunghe sopravvivenze o addirittura delle guarigioni. In tutti questi anni, finito il trattamento si possono avere appunto delle comorbidità oppure delle tossicità tardive alle quali noi ancora non diamo risposte strutturate. Quindi c’è la necessità che la politica si occupi anche di questo, e poi è importante che la politica si occupi ancora di più (ma già lo sta facendo a livello di Ministero della Salute, Istituto superiore di sanità, Aifa, Agenas, tutte le istituzioni sanitarie) di prevenzione. Noi possiamo cercare di ridurre il carico sul sistema sanitario nazionale della malattia cancro iniziando grosse operazioni di prevenzione che possono essere sia di prevenzione secondaria, quindi aumentare l’adesione agli screening già esistenti perché al sud e nelle isole è troppo bassa, e puntare sulla prevenzione primaria. Quindi sugli stili di vita: non fumare, non ingrassare, fare attività fisica quotidiana, regolare, non eccedere negli alcolici, ci potrebbe evitare nel futuro anche un 40% di nuove diagnosi di tumore».