Salute 16 Aprile 2019 09:50

«Non ho bisogno di immaginare il mondo, io lo vivo». La storia di Daniele Cassioli, campione non vedente di Sci nautico

Il 26enne romano, affetto da retinite pigmentosa, ha vinto 22 medaglie d’oro ai Campionati mondiali paralimpici di Sci nautico. Ha scritto un libro “Vento contro” nel quale ringrazia la sua malattia: «Nel loro funzionare male, le mie retine mi hanno fatto diventare quello che sono». Oggi va nelle scuole a raccontare la sua storia

di Federica Bosco

Nascere disabile e riuscire ad accettare i propri limiti è difficile, ancor più invertire la rotta e trasformare un handicap in una opportunità. Eppure Daniele Cassioli ce l’ha fatta. Con il suo libro “Il vento contro” racconta la sua esperienza di sportivo e di persona non vedente trasformando un handicap in un’occasione. «Se vedessi, il libro stesso non esisterebbe – sottolinea – Le difficoltà se le accettiamo possono diventare un’opportunità». E così Daniele è riuscito dapprima ad accettare, poi a convivere ed infine a trasformare la sua cecità in un volano. 26 anni, romano, affetto da retinite pigmentosa, non ha mai visto la luce, eppure dice: «Non ho bisogno di immaginare il mondo, io lo vivo». Una vita intensa, la sua, fatta di musica, famiglia, università, amici e tanto sport che è stato la sua ancora di salvezza. A dieci anni scopre la passione per gli sci che indossa anche in casa pattinando tra il salone e la cucina perché «mi permetteva di essere me stesso, di sbagliare, anche cadere, ma di provare e riprovare», ammette. Ed è proprio la sua voglia di andare oltre, di superare ostacoli e barriere a portarlo già a dieci anni a cimentarsi in competizioni sportive. Da allora non ha mai smesso: 22 medaglie d’oro ai Campionati mondiali di Sci nautico, 25 a quelli Europei e 35 agli italiani fino ad essere considerato uno dei più grandi campioni di sci nautico paraolimpico di tutti i tempi.

Daniele, come sei riuscito a trasformare la cecità in una occasione?

«Prima l’ho accettata, poi l’ho sopportata, poi ho imparato a volerle bene. E quando due persone si vogliono bene, sono in grado di essere straordinarie e sorprendenti. Nel libro infatti ringrazio le mie retine che, « nel loro funzionare male, mi hanno fatto diventare quello che sono ».

Chi è oggi Daniele?

«Sono una persona che ha realizzato tanti sogni, come vincere un mondiale. Mi sento di avercela fatta, ho completato un percorso scolastico, ho tanti amici e tanti altri sogni».

Qual è l’obiettivo da raggiungere?

«I mondiali a fine luglio in Norvegia e poi con la mia associazione, la Sestero Onlus, con cui portiamo i bambini non vedenti e le persone con disabilità in generale a fare sport. Il mio sogno è creare una cultura tale per cui un bambino senza la vista faccia sport in modo automatico, normale».

Facciamo un passo indietro. Tu hai scelto uno sport difficile, lo sci nautico. Come mai sei andato in quella direzione?

«Da subito mi sono mosso meglio con gli sci ai piedi che con le scarpe. La libertà che la cecità sembrava avermi tolto, con lo sci prima e lo sci nautico poi l’ho riassaporata».

Come si svolgono le tue giornate?

«Non ho delle abitudini precise, ogni giorno è una scoperta. Incontro le scuole, il pubblico alle presentazioni del mio libro, faccio allenamento per lo sci nautico in palestra nei mesi invernali, al mare durante la primavera e l’estate e poi mi occupo della libera professione da fisioterapista».

Hai parlato di incontri con i ragazzi, qual è l’insegnamento che lasci loro?

«L’insegnamento più grande in realtà lo danno loro a me. Noi adulti parliamo spesso dei ragazzi come se fossero degli oggetti, in realtà i ragazzi sono ciò che vedono ed imparano dagli adulti e quindi il primo insegnamento è quello che loro danno a me, chiedendo di essere ascoltati, di essere compresi ed anche apprezzati nell’errore. Poi sono convinto che la voglia di non incastrarsi in problematiche di tutti i giorni, di aver sempre voglia di provarci, di andare oltre credo sia il messaggio che passa loro. Soprattutto cerco di responsabilizzarli, far capire loro che l’andamento della loro vita dipende dalla loro volontà».

Qual è la domanda più frequente che ti fanno i ragazzi quando ti incontrano?

Ce ne sono molte in verità, molte curiosità e altre che servono per togliere i tabù che ci sono intorno alla cecità. E poi domande più profonde sulla paura, sul bullismo che evidenziano un desiderio di parlare e di esprimere sentimenti propri attraverso la voce di altri. Se mi chiedono quanto ho paura è perché loro ne hanno, se mi domandano come reagisco a chi mi prende in giro, è per chiedere aiuto dinnanzi a chi li bullizza. Io lascio che le loro domande siano il punto focale dell’incontro perché quando un ragazzino mi chiede della paura è perché la conosce, se un altro mi chiede informazioni sull’essere presi in giro, è perché lo vive in prima persona o conosce qualcuno che lo sta vivendo. Quindi io ho profondissimo rispetto per le loro domande perché è un’occasione per parlare di loro, non di me stesso».

C’è una persona a cui vuoi dire grazie?

«In prima battuta i miei genitori perché hanno educato Daniele, non un cieco e mio fratello con cui ho condiviso tanti momenti e tante botte anche, come tutti i fratelli. E poi l’altro soggetto a cui devo dire grazie è lo sport. Una fonte di energia inesauribile che ancora oggi mi carica».

 

 

 

 

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