Il presidente eletto della Società italiana di chirurgia dell’obesità e delle malattie metaboliche: «Bisogna ricorrere alla chirurgia solo se non c’è altra soluzione»
«L’obesità va prevenuta, curata, trattata come una malattia cronica e, infine, debellata». Con queste poche parole Diego Foschi, presidente eletto della Società italiana di chirurgia dell’obesità e delle malattie metaboliche (Sicob), disegna la road map da seguire per superare un problema che riguarda sempre più italiani.
«Il 10% della popolazione è obeso – spiega Foschi – e se guardiamo alla percentuale di bambini italiani che soffrono di questa malattia arriviamo al 25%. Sono numeri molto alti, ed è indubbio che per poter affrontare questo problema bisogna prima averne coscienza».
Per fare questo, secondo il presidente eletto della Sicob, «deve innanzitutto essere garantita la presa in carico del paziente, perché chi è obeso deve essere guidato in questo processo e non è pensabile che si gestisca da solo. E questo significa coinvolgere tutte le categorie professionali, dal medico di famiglia all’endocrinologo, dal dietologo allo psicologo fino allo psichiatra». Un lavoro di squadra in cui «tutti possano dare il loro apporto», affrontando le esigenze del singolo paziente, perché «non esiste un’unica obesità».
Solo in un secondo momento, allora, «di fronte ad una resistenza da parte del paziente ad un trattamento razionale condotto nel modo giusto e con determinazione», si passa alla chirurgia. Sono 24mila gli interventi di chirurgia dell’obesità che avvengono ogni anno in Italia. Bendaggio gastrico, gastrectomia verticale a manica e bypass gastrico i più comuni, a cui si sottopongono in particolare i pazienti con un indice di massa corporea superiore a 35, che soffrono di altre malattie o, appunto, che non sono riusciti a perdere peso con dieta o esercizio fisico.
«La chirurgia deve consentire la vivibilità della persona, reinserirla da un punto di vista sociale e lavorativo ed evitare che si possano stabilire complicanze ancora più gravi come diabete, ipertensione o coronaropatie. La chirurgia deve quindi essere utilizzata – conclude – solo nei casi in cui non c’è altra soluzione».