Il Vicepresidente del Parlamento Europeo ha visitato il gruppo Consulcesi e ha parlato di alcuni dei temi più sentiti dalla classe medica, a partire da quello dei contenziosi: «Troppi camici bianchi costretti a medicina difensiva, serve task force per tutelarli». Sulla formazione continua: «Incentivi e premi a chi è in regola con obbligo di legge»
«Bisogna restituire dignità ai camici bianchi». Poche, semplici parole quelle pronunciate dal vicepresidente del Parlamento Europeo Fabio Massimo Castaldo, Movimento Cinque Stelle, in visita alla sede del Gruppo Consulcesi, il network da sempre al fianco dei camici bianchi. Castaldo ha sottolineato la necessità di dare piena attuazione alle direttive europee che sanciscono il diritto dei medici specializzandi ad avere una adeguata retribuzione e per questo sottolinea che anche le istituzioni europee dovranno fare la loro parte: «È fondamentale che il Parlamento Europeo si faccia carico di fare le dovute pressioni nei confronti del legislatore e dell’esecutivo italiano affinché si dia finalmente piena applicazione a diritti che sono sanciti in modo inequivocabile», spiega Castaldo, che poi si dice d’accordo all’avvio di un accordo transattivo che possa chiudere questa annosa questione.
Tanti i temi toccati nell’intervista a Sanità Informazione, a partire da quello dei contenziosi che vedono coinvolti tanti, troppi operatori della sanità e su cui lancia una proposta: «Penso a una task force legale che potrebbe dare loro certezza di non essere abbandonati da quello Stato che ogni giorno quotidianamente difendono in corsia», spiega Castaldo che auspica un intervento normativo che coinvolga anche i principali attori del settore come Consulcesi. Sull’importanza della formazione continua e la sulla rivoluzione portata anche in ambito sanitario da nuove tecnologie come la Blockchain gli altri passaggi dell’intervista.
Vicepresidente, sappiamo che per i medici italiani l’Europa ha un significato importante: parliamo della “generazione di diritti negati” quella che fece la specializzazione tra il 1978 e il 2006 e che non venne retribuita adeguatamente. L’Europa con le sue direttive e alcune sentenze della Corte ha stabilito invece che quei medici dovevano essere risarciti, però ci sono ancora 110mila cause sospese. Cosa può fare l’Europa per questo?
«È fondamentale che il Parlamento Europeo si faccia carico di fare le dovute pressioni nei confronti del legislatore e dell’esecutivo italiano affinché si dia finalmente piena applicazione a diritti che sono sanciti in modo inequivocabile da parte di direttive europee che sono, ahimè, da troppi decenni disapplicate. L’obiettivo ovviamente è restituire piena dignità e pieni diritti ai nostri camici bianchi che oggi ancora svolgono con grande senso del dovere la propria professione e rappresentano la spina dorsale del nostro sistema sanitario e credo da questo punto di vista che una buona soluzione, intelligente, potrebbe essere la proposta di un accordo transattivo che, a fronte anche di un venire incontro da parte della stessa categoria, possa finalmente chiudere questa annosa questione dando certezza del diritto e dando pieno godimento di quelli che, ribadisco, sono semplicemente diritti maturati in base alla normativa europea. Il Parlamento Europeo non può, come organo, costringere il Parlamento italiano o l’esecutivo ad agire ma può senz’altro esercitare tutte le pressioni possibili affinché l’Italia, finalmente, torni ad essere all’altezza di quello che già fanno gli altri paesi europei».
Parliamo di un altro confronto che si fa spesso nel mondo medico tra l’Italia e gli altri Paesi: quello sulla formazione, sull’aggiornamento continuo. Sappiamo quanto sia importante per un medico mantenersi aggiornato sulle ultime novità che fortunatamente la tecnica e la scienza mettono a disposizione. In tanti Paesi ci sono meccanismi premiali e sappiamo che l’Europa proprio sulla formazione professionale insiste molto…
«È fondamentale, non si può pensare che chi si è laureato 20-25 anni fa continui ad operare e ad agire seguendo le stesse tecniche con le quali si era formato al momento dei propri studi universitari. È fondamentale quindi continuare a interagire con il mondo della ricerca, con il mondo della formazione, affinché le migliori tecniche, le best practice attuali siano costantemente alla portata di chi opera quotidianamente in campo sanitario. Allora l’Italia deve ovviamente mettersi al passo con gli altri Paesi europei, creare un sistema di premi e, tra virgolette, di penalità per coloro che non vogliono seguire questo percorso. Ricordo già che la legislazione europea, ci sono raccomandazioni importanti della Commissione, già prescrivono questo. L’Italia ha fatto fatica a mettersi al passo, è assolutamente il momento di farlo perché ne va da un lato della professionalità e anche della tutela dei diritti dei nostri camici bianchi, dei nostri dottori, ma dall’altro ne va ovviamente della salute dei pazienti. È una classica lose-lose situation che può diventare una win-win situation, basta volerlo e basta mettere in condizioni chi vuole cimentarsi, com’è giusto che sia, di non dover affrontare una sfida titanica ma di essere aiutato e spinto dal sistema a fare la cosa giusta e credo quindi che un saggio sistema di incentivi e di disincentivi possa essere la strada giusta per aprire finalmente uno spiraglio concreto che ci riporti anche qui all’altezza dei migliori standard dei paesi europei che sono benchmark da questo punto di vista».
Da giurista e, prima di fare il parlamentare europeo, da consulente legislativo della Commissione Sanità del Parlamento italiano lei ha affrontato anche spesso il tema della conflittualità tra medici e pazienti, una conflittualità che spesso viene esasperata e su cui forse c’è bisogno di una mediazione…
«Ho avuto modo di lavorare con una senatrice, attuale vicepresidente del Senato, Paola Taverna, che si occupa proprio del comparto sanitario. Da giurista, anche per formazione, conosco molto bene il tema della responsabilità medica. L’intervento del legislatore del 2017 sicuramente è stato migliorativo ma non risolutivo. Ancora oggi infatti sono costretti, spinti dall’attuale assetto formativo a praticare la cosiddetta medicina difensiva tanto dal punto di vista attivo quanto dal punto di vista passivo. Decine e decine di esami inutili che sono un costo per il sistema sanitario o magari la volontà di non rischiare nel momento in cui ciò può costituire però la salvezza o meno di una vita umana o di non incorrere in eventuali cause, eventuali responsabilità con ovviamente i tempi di una giustizia che ben conosciamo. Tutto questo ci pone nell’incapacità di poter esplicare pienamente le potenzialità di un comparto, quello sanitario, che ancora oggi può e deve essere un’eccellenza a livello europeo e mondiale. Quindi auspico da un lato un ulteriore intervento normativo che deve essere costruito insieme a realtà come Consulcesi che dall’alto dell’esperienza maturata in questi anni può darci uno spaccato dei contributi preziosissimi per calibrare bene le fattispecie normative dal punto di vista penalistico, ma dall’altro serve anche un supporto concreto al personale sanitario, partendo in primis dai medici e dai chirurghi, e da questo punto di vista penso anche a una task force legale che potrebbe dare loro certezza di non essere abbandonati da quello Stato che ogni giorno quotidianamente difendono in corsia».
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