Solo negli ultimi anni la ricerca clinica e biomedica ha cominciato ad approntare cure mirate alle specificità dei due sessi e ad includere le donne nelle sperimentazioni cliniche. La professoressa Patrizia Hrelia, ordinario di farmacologia e tossicologia presso l’Università di Bologna: «La medicina di genere supera l’approccio androcentrico che ha caratterizzato la ricerca fino alla fine degli anni ‘90»
Uomini da Marte e donne da Venere? Più o meno, e le differenze si riscontrano anche nella loro salute. Le donne vivono di più ma trascorrono gli anni guadagnati con malattie o disabilità; gli uomini corrono un rischio maggiore di Parkinson e le donne di Alzheimer; i primi soffrono maggiormente di patologie cardiovascolari mentre le seconde sono più propense ad accusare ansia e depressione. Ma anche la risposta ai farmaci è diversa. Eppure, solo all’inizio del nuovo millennio si è iniziato a considerare queste differenze anche nella pratica clinica.
A parlare di questi temi a Bologna, al Festival della Scienza Medica, è stata la professoressa Patrizia Hrelia, ordinario di farmacologia e tossicologia presso l’Università di Bologna. «Abbiamo sempre vissuto una medicina androcentrica, cioè incentrata sull’uomo, che era il paradigma di riferimento. Le donne erano escluse dagli studi clinici e dagli studi di sperimentazione sui farmaci, tesi a valutarne la sicurezza e l’efficacia. Allora solo da pochi anni sappiamo che, ad esempio, la cardioaspirina agisce in modo diverso su uomini e donne».
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Secondo la professoressa Hrelia, il farmaco che fluidifica il sangue è «uno degli esempi maggiori che testimonia l’impatto dell’esclusione delle donne dagli studi». Come spiega ai nostri microfoni, infatti, «negli studi che contemplavano solo uomini, la cardioaspirina aveva dimostrato un indubbio effetto protettivo nei confronti del rischio cardiovascolare; ma quando le ricerche hanno coinvolto anche le donne, i risultati e le correlazioni non erano così certi, e si è quindi iniziato a capire che le donne non rispondono in termini di prevenzione primaria all’assunzione di cardioaspirina, che è invece valida nella prevenzione secondaria. Inoltre, il farmaco nelle donne aiuta a prevenire l’ictus e non l’infarto, mentre negli uomini accade esattamente l’opposto».
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