Il presidente della Commissione Sanità di Regione Lombardia, Emanuele Monti, spiega come saranno utilizzate le risorse stabilite con l’intesa governo-regioni: «Un collegamento più vicino alle persone, all’ospedale-territorio, la presa in carico della cronicità, quel 30% dei pazienti che assorbono il 70/80% delle risorse economiche». Sulla carenza di medici: «Autonomia differenziata potrebbe aiutarci»
Buone notizie per la Sanità Lombarda. L’intesa Governo-Regioni ha prodotto un nuovo finanziamento di 672 milioni di euro che permetterà nei prossimi anni la realizzazione di due grandi strutture, i nuovi ospedali San Paolo-San Carlo e Busto Gallarate. Oltre a queste risorse, Regione Lombardia punterà sull’informatizzazione e sulla cura delle cronicità dando concretezza alla legge 23 del 2015. «Siamo in un momento di messa a terra di questa riforma che chiederà alcuni anni – commenta Emanuele Monti (Lega), Presidente della commissione Sanità di Regione Lombardia – ma devo dire che in tutti gli incontri che stiamo avendo con interlocutori nazionali e soprattutto internazionali, ci dicono quanto è importante ed innovativa questa legge 23 approvata nel 2015».
Presidente, quali sono le novità della legge 23 del 2015 che troveranno applicazione a partire dal 2019?
«Innanzitutto, un collegamento più vicino alle persone, all’ospedale-territorio, la presa in carico della cronicità, quel trenta per cento dei pazienti che assorbono il 70/80 percento delle risorse economiche della gestione sanitaria della Regione, quindi una vera riforma che rimette in gioco il paradigma tra domanda e offerta sanitaria, tra erogazione sanitaria e i bisogni reali della popolazione. Un vero cambiamento che si sta concretizzando con una importante delibera sul Pronto Soccorso, come luogo per acuti, e oltre alle sinergie che stiamo costruendo mettendo in rete tutto il sistema sanitario lombardo per le patologie croniche».
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Regione Lombardia è un’eccellenza in ambito sanitario, eppure ci sono alcuni problemi: tema attuale è quello della carenza dei medici sia di famiglia che specialistici, come si può ovviare a questo problema?
«Bisogna dire che è un problema autoindotto di quel governo che decise di tagliare sulle Regioni più efficienti, come la Lombardia, per ridurre i debiti di quelle meno efficienti del nostro Stato. Oggi chiediamo a gran voce la possibilità di spendere soldi che abbiamo, di utilizzare le nostre risorse per assumere medici e personale necessario per mettere in moto la riforma della legge 23. Tante iniziative sono state comunque fatte: come le borse di studio per gli specializzandi, che abbiamo introdotto con i nostri soldi e utilizzando le nostre risorse, la scuola di Medicina generale che quest’anno supera le 400 unità, triplicando i posti previsti in passato, penso a tanti interventi concreti come quello, vincendo il ricorso in Corte Costituzionale, di avere i medici specializzandi l’ultimo anno già pronti a collaborare in corsia in particolare in pronto soccorso».
Con l’autonomia differenziata, cosa potrebbe cambiare da un punto di vista della sanità?
«Sarebbe un grande aiuto ed una boccata di ossigeno per riuscire a crescere. Sicuramente il tema del budget, passando da una logica di contingentamento di risorse a una di spesa più vicina ai bisogni effettivi, partendo da quello del personale, permetterebbe di avere una programmazione differente, potendo organizzare meglio l’uscita dalle scuole universitarie e quindi gestire le scuole di specialità che oggi sono appannaggio dello Stato, potendo programmare meglio le professioni sanitarie che abbiamo bisogno nel presente e che avremo bisogno nel futuro. Questo non vuol dire togliere agli altri, ma dare la possibilità a chi funziona di funzionare meglio ed evitare così la fuga dei camici bianchi all’estero».
Recentemente Regione Lombardia ha firmato un accordo con Fimmg per i medici di famiglia. Che ruolo possono giocare nella presa in carico delle cronicità?
«È un ruolo fondamentale, noi l’abbiamo inserito in un quadro strategico di riferimento, la condivisione di un patto di cura siglato da medico e paziente e questo dovrà portare anche a livello amministrativo ad una semplicità nel prenotare gli esami, nell’appropriatezza della cura, anche farmacologica. Il medico di base è al centro di questo modello, abbiamo già fatto 30 mila patti di cura con i cittadini, ne dobbiamo fare molti altri, siamo nella giusta direzione con i medici insieme a noi che riacquistano il loro ruolo di professionisti, mentre il lato burocratico viene demandato al personale di segreteria che li assiste, con la possibilità di fare prestazioni ambulatoriali anche semplici come ECG che già il medico di base oggi può erogare al cittadino, rendendo il sistema più semplice».