L’esperta: «Esistono sostanzialmente due forme di narrazione: il diario e la scrittura sporadica, entrambi usati in psicoterapia. Il primo soprattutto per la ricostruzione del senso di sé dopo gravi traumi, la seconda in prossimità di eventi traumatici o in momenti di grande ansia»
Riduce la pressione arteriosa, aumenta le difese immunitarie ed è un toccasana contro ansia, fobie e tristezza. Scrivere un diario fa bene sia al corpo che alla mente. «C’è chi, nel pieno rispetto delle tradizioni, preferisce usare un foglio di carta ed una penna, chi scrive solo su pc o smartphone e chi, addirittura, racconta tutto in una nota vocale, registrando direttamente la sua voce. Ma – spiega Federica Mazzeo, psicoterapeuta, membro dell’Ordine degli Psicologi del Lazio – il risultato non cambia».
Che si mantenga fede ad una delle tradizioni più antiche al mondo, riempiendo quotidianamente d’inchiostro la pagina di un quaderno, o che si scelga la scrittura elettronica, la narrazione ha dei benefici, sia fisici che mentali, scientificamente provati.
«Molti studi – continua la psicoterapeuta – dimostrano che la scrittura può essere utile ad abbassare la pressione arteriosa e ad aumentare le difese immunitarie, anche in presenza di infezioni. In particolare, le ricerche presenti in letteratura hanno preso in considerazione alcuni indicatori del livello di difesa presente nell’organismo, come il numero di mitogeni, di cellule CD4 T-Helper o di cellule Natural Killers (NK). I ricercatori hanno evidenziato un miglioramento significativo della risposta ai mitogeni rispetto ai livelli di base e una maggiore concentrazione nel sangue di cellule CD4 per i soggetti del gruppo sperimentale rispetto al gruppo di controllo. Altri studi hanno evidenziato risultati positivi, ma non sempre del tutto soddisfacenti, anche per le patologie croniche come l’asma, l’artrite reumatoide, la fibromialgia e la fibrosi cistica».
E imparando a dare libero sfogo ai propri pensieri attraverso la scrittura, anche la psiche ne trarrà dei vantaggi. «A livello psicologico – aggiunge Federica Mazzeo – la scrittura aiuta a diminuire i disturbi dell’umore, liberare la mente da pensieri ridondanti e oppressivi, elaborare eventi negativi e traumatici, migliorare le capacità empatiche e le competenze sociali ed a regolare meglio le emozioni, fronteggiando quelle negative».
Ma che cosa bisogna scrivere per ottenere tutti questi effetti positivi? E, soprattutto, in che modo? «Esistono sostanzialmente due forme di narrazione – risponde l’esperta – il diario e la scrittura sporadica. Entrambi sono usati trasversalmente in psicoterapia da diversi posizionamenti teorici. Attraverso il diario l’individuo ripercorre il copione della propria vita. Sia nella ricostruzione degli eventi nella fase di stesura, che al momento della narrazione, durante il confronto con lo psicoterapeuta, il paziente – commenta Mazzeo – ha la possibilità di rivedere quali sono quegli atteggiamenti tipici, che ripete spesso nella vita, responsabili, non di rado, delle sue principali difficoltà. Nella tenuta del diario, l’individuo può ricostruire progressivamente la sua vicenda intima, riflettere – nello spazio e nel tempo della scrittura – sulle azioni e le emozioni che caratterizzano il suo agire. Il diario è uno specchio. Questo può essere uno strumento molto utile per persone che hanno subito gravi traumi, come per esempio una diagnosi di cancro o episodi di violenza, o anche che per coloro che soffrono di disturbi dell’umore, o per le dipendenze, o per esempio nei disturbi del comportamento alimentare».
Ma anche chi non scrive tutti i giorni potrà testarne ugualmente l’efficacia: «La scrittura sporadica è utile in prossimità di un evento traumatico o in un momento di grande ansia. In queste circostanze – dice Mazzeo – scrivere ciò che accade consente di formulare un pensiero, una riflessione, in situazioni in cui, altrimenti, non ci sarebbe altro che perdita di controllo. Mettendo nero su bianco le proprie emozioni si resta ancorati al momento presente, gestendo meglio l’angoscia provata».
In entrambi i casi, che si tratti di un diario quotidiano o di forme di scrittura occasionali, grazie alla narrazione le cose e gli eventi possono acquisire un senso, ritrovare un proprio posto nel mondo. «La persona – sottolinea la psicoterapeuta – nel processo narrativo, sviluppa e affina la consapevolezza e la conoscenza di sé, riconosce progressivamente i copioni disfunzionali che mette in atto in modo ricorsivo, elabora gli eventi e li colloca nella loro linea evolutiva, riformula il senso del sé integrando la complessità delle esperienze, riempiendo le fratture e chiarendo via via la scena complessiva delle sue relazioni, delle rappresentazioni di sé, delle sue emozioni. Quando narriamo mettiamo in scena degli archetipi universali, dei veri e propri personaggi. Il racconto è tipicamente diviso in fasi: c’è un inizio, una peripezia, un momento di crisi e poi la risoluzione. È la stessa struttura che sostiene anche la narrazione delle nostre storie quotidiane. Questo è il motivo per cui le favole si somigliano in tutte le parti del mondo e – conclude Mazzeo – hanno un effetto benefico sui bambini».