Il professor Raffaele Giubbini del gruppo di medicina nucleare dell’Università di Brescia: «Importante farsi operare alla tiroide da un chirurgo esperto che esegua 150-200 interventi all’anno»
L’inquinamento e l’esposizione a radiazioni per terapie mediche sono tra le principali cause del tumore alla tiroide, che oggi è il più diffuso del sistema endocrino. Negli ultimi 20 anni i casi sono pressoché raddoppiati e ad essere più colpite sono le donne. Ad accendere i riflettori su una patologia silente e spesso diagnosticata in ritardo è il professor Raffaele Giubbini del gruppo di medicina nucleare dell’Università di Brescia: «Le tecniche diagnostiche sono migliorate. Oggi è più facile diagnosticare un piccolo nodulo che poi si manifesterà essere un tumore tiroideo tramite ecografie e screening fatti per valutare altre tipologie, ad esempio per valutazioni di vasi sovraortici; ma anche in pazienti che si sottopongono sistematicamente ad indagine per escludere eventuali altre sedi di lesione».
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Una volta riscontrata la presenza di un carcinoma, come si agisce in Italia?
«Dopo aver individuato il tumore tiroideo, la cui diagnosi deve essere supportata da un esame istologico su ago aspirato, la seconda indagine più importate da fare è individuare un centro chirurgico con alti volumi, ovvero dove opera un chirurgo esperto che abbia una casistica superiore a 150-200 interventi alla tiroide all’anno, per effettuare una tiroidectomia che può essere parziale oppure intera, a seconda della classificazione del rischio a cui il paziente sarà sottoposto. Purtroppo, in Italia oggi non tutti i chirurghi che operano la tiroide hanno questo tipo di esperienza. E su questo il paziente deve essere informato, e devono essere individuati degli hub per il trattamento delle malattie della tiroide che abbiano a disposizione dei team che possano operare in un contesto multidisciplinare finalizzando le migliori scelte dal punto di vista terapeutico».
Il trattamento con Iodio 131 dopo l’intervento che ruolo ha?
«È uno strumento che serve a verificare la quantità di residuo tiroideo, ma soprattutto ad evidenziare la presenza di tessuto patologico in sede extra tiroidea. Quindi si tratta di un qualcosa che definiamo come ablazione del residuo, ma che ha sostanzialmente finalità solamente diagnostiche, di stadiazione della neoplasia, di identificazione di tessuto tiroideo patologico in sede extra tiroidea».
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