Cuzzocrea (psicologa e psicoterapeuta): «Si tratta di individui che, a causa di una profonda vergogna, scaturita da un fallimento lavorativo o personale, decidono di cambiare identità. In Italia, almeno per il momento, non ci sono studi sul fenomeno, solo i dati dell’agenzia del ministero dell’Interno che censisce le persone scomparse, compresi gli allontanamenti volontari»
Ad un certo punto della loro vita scelgono di sprofondare nell’anonimato, tagliando i ponti con qualsiasi cosa o con chiunque appartenga al passato. «Si chiamano johatsu, “gli evaporati” – spiega Vera Cuzzocrea, psicologa e psicoterapeuta, componente del gruppo di lavoro di Psicologia Forense dell’Ordine degli Psicologi del Lazio – e secondo le notizie a nostra disposizione, che arrivano da fonti informali come libri, riviste o storie di vita, si tratta soprattutto di persone adulte, sia uomini che donne, in casi più rari di intere famiglie. Tutti individui che decidono volontariamente di andar via per abbandonare un contesto di vita che sentono di non poter più gestire. Nella maggior parte dei casi – continua la psicoterapeuta – sembrerebbe a causa di una profonda vergogna, scaturita da un licenziamento o da un fallimento personale. In altre parole, di fronte ad una situazione che ritengono troppo grande da poter gestire preferiscono “evaporare”, sparire».
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I primi ad indagare su questo fenomeno, girando il Giappone sin dal 2008, sono stati due francesi, una scrittrice ed un fotografo, Léna Mauger e Stéphane Remael, autori del libro “The Vanished: The “Evaporated People” of Japan in Stories and Photographs” (Gli evaporati del Giappone attraverso storie e fotografie).
Da quegli anni la tendenza è diventata sempre più consolidata: «Si stima che in Giappone gli evaporati siano 100mila ogni anno – aggiunge Cuzzocrea -. Persone che riescono a cancellare ogni traccia di sé attraverso un’organizzazione che agevola il loro trasferimento. Pare, infatti, che all’interno della metropoli di Tokyo ci sia un intero quartiere popolato dagli evaporati».
In Italia, almeno per il momento, non ci sono degli studi scientifici che mostrino la nascita di un fenomeno uguale o simile. «Un’agenzia del ministero dell’Interno – continua l’esperta – ha il compito di censire le persone scomparse e, tra queste, ci sono anche coloro che si allontanano volontariamente, compresi i minori che scappano da casa o dagli istituti».
Chi vuole sparire, in Italia, deve puntare sul mondo virtuale, più che su quello reale, attraverso soprattutto il cosiddetto “Ghosting”: «Per tagliare i ponti con una persona – spiega la specialista – c’è chi sceglie di interrompere tutte le comunicazioni, soprattutto attraverso i social. La rete agevola la velocità di contatto e, nello stesso tempo, permette di eliminarlo con altrettanta rapidità. Un fenomeno che, come quello degli evaporati, fa emergere importanti vulnerabilità sul piano psicologico, sia in termini di abilità relazioni e sociali che, più in generale, nella gestione delle emozioni».
Ma è possibile che, come accaduto per altre tendenze sviluppatesi in Estremo Oriente, questa possa prendere piede anche in Italia? «Nel nostro Paese la privacy è meno tutelata che in Giappone – dice Cuzzocrea -, di conseguenza sarebbe molto più difficile gestire una totale scomparsa amministrativa, abitativa o un cambiamento di status di una persona. Poi, vanno anche considerate le aspettative sociali alle quali è demandato un individuo. Il Giappone è, anche nell’immaginario collettivo, il Paese del rigore per eccellenza, dello stacanovismo, dell’onore. I giapponesi sono, di conseguenza, molto più sottopressione e quindi danno un’importanza superiore alla performance lavorativa, al successo, alla quantità di ore dedicate alla propria attività professionale. In Italia, questi aspetti culturali non così forti o preponderanti, almeno – conclude – non al punto tale da spingere una persona a sparire o da considerare questo un fenomeno di interesse collettivo».