Il dottor Vignati, responsabile della Cardiologia Pediatrica dell’ospedale: «Introducendo un sondino nella vena della gamba chiudiamo il dotto di Botallo nei neonati prematuri, evitando problematiche importanti a livello cardiocircolatorio e respiratorio»
Per la prima volta in Italia è stata utilizzata con successo una procedura mininvasiva per chiudere il dotto di Botallo in neonati prematuri di basso peso. L’intervento è stato realizzato dagli specialisti del Niguarda di Milano guidati dal dottor Gabriele Vignati, responsabile della Cardiologia Pediatrica dell’ospedale, con la supervisione del professor Alain Fraisse, cardiologo pediatrico del Royal Brampton Hospital di Londra, specializzato nell’uso di questa tecnica per la chiusura del dotto arterioso pervio in neonati prematuri. «In Italia è la prima volta che si adotta questa tecnica, ma in alcuni Stati europei è consolidata – spiega il dottor Vignati –. Consiste nel raggiungere con un sondino introdotto da una vena della gamba il dotto arterioso, che è quel vaso che mette in comunicazione durante la vita fetale le due grandi arterie che nascono dal cuore e che, nel 90% dei casi, si chiude nei primi giorni di vita in quanto non è più necessario».
Dottor Vignati, in che cosa consiste la procedura transcatetere che avete usato con i due bambini nati da gravidanze sotto le 30 settimane?
«I due bambini al momento dell’intervento avevano un peso inferiore ai due chilogrammi, quindi erano molto piccoli. Pertanto è stato usato un catetere sottilissimo, del diametro di uno spaghetto che, inserito nella vena femorale della gamba, ha raggiunto l’arteria polmonare e, attraverso il dotto, l’aorta. Una volta in sede, dal catetere è stato rilasciato un dispositivo auto espandibile che è andato a chiudere il dotto arterioso che era aperto».
Perché è stato necessario questo intervento?
«Durante la vita fetale il dotto di Botallo, ovvero quel tubicino che mette in comunicazione l’arteria polmonare con l’aorta, ottimizza la circolazione fetale evitando a gran parte del sangue, già ben ossigenato dalla placenta, di andare inutilmente nei polmoni. Alla nascita, nel momento in cui inizia la funzione respiratoria, il dotto deve chiudersi spontaneamente. Di solito lo fa entro le prime 72 ore o, più raramente, entro le prime settimane di vita. Nei bambini nati a termine la mancata chiusura è un evento raro, invece nel 30% dei bambini nati pretermine il dotto resta aperto e questo può provocare delle problematiche importanti a livello cardiocircolatorio e respiratorio. In quei casi è necessario procedere alla sua chiusura».
Qual è la procedura seguita?
«Prima si tenta un trattamento farmacologico che nella maggior parte dei casi è efficace; ma se non si ottiene il risultato sperato, viene proposta la chiusura che può essere chirurgica e, da oggi, anche percutanea».
Che tipo di conseguenze potrebbe avere il bambino prematuro se non si chiude il dotto?
«Due sono i problemi più seri: le ripercussioni sullo sviluppo del polmone secondarie al mantenimento di pressioni di perfusione elevate e la comparsa di sofferenza ischemica secondaria al furto di sangue del cervello e/o degli organi addominali che, anziché raggiungere questi distretti, viene deviato appunto attraverso il dotto verso i polmoni».
Com’è il decorso post-operatorio?
«Generalmente sono bambini impegnati, che hanno una dipendenza sia dal respiratore che dai farmaci. Una volta ottenuta la chiusura del dotto di Botallo, il quadro clinico migliora radicalmente nel giro di 24/48 ore ed è possibile arrivare alla respirazione spontanea e alla sospensione dei farmaci. Oggi grazie alla procedura con il catetere l’intervento può essere mininvasivo, con traumatismo chirurgico azzerato. Non essendoci traumatismi toracici, anche la fase post-operatoria risulta essere più veloce».