Corrado Cecchetti, responsabile Area Rossa del dipartimento di emergenza del Bambin Gesù di Roma: «Per il futuro forme di anestesia sempre meno legate ad una reale compromissione e controllo delle funzioni vitali del paziente, a favore di tecniche loco regionali»
Nell’antica Mesopotamia si utilizzava la compressione delle carotidi per causare la perdita di conoscenza. In Egitto, prima di un intervento, si cospargevano gli arti di acqua fredda per diminuirne la sensibilità. Anche alle più rudimentali pratiche chirurgiche gli specialisti hanno sempre tentato di affiancare delle forme di anestesia altrettanto primordiali, nel tentativo di lenire le sofferenze. «Ma è soltanto durante la prima Guerra Mondiale e negli anni immediatamente successivi – spiega Corrado Cecchetti, responsabile dell’Area Rossa del dipartimento di emergenza dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma – che l’anestesia ha subito una vera evoluzione. Si è passati da forme di anestesia volte alla riduzione del dolore, come l’impiego del cloroformio per placare lo strazio di un’amputazione, a vere e proprie tecniche di anestesia generale, con l’utilizzo di etere (dietiletere o etossietano, un composto che a temperatura ambiente si presenta come un liquido incolore, ndr) o di protossido (un gas incolore dal sapore dolciastro, ndr)».
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Una rivoluzione non solo nella pratica medica, ma anche nella sua organizzazione: «Si comincia ad utilizzare un approccio integrato di anestesia e rianimazione – racconta lo specialista – . Vengono sperimentate le prime forme di smistamento dei pazienti attraverso la messa a punto di un triage avanzato (il sistema che seleziona i soggetti coinvolti in infortuni secondo classi di urgenza-emergenza crescenti, in base alla gravità delle lesioni riportate e del loro quadro clinico, ndr). I medici hanno la possibilità di effettuare trasfusioni utilizzando il sangue conservato nelle apposite sacche. Un’opportunità impensabile fino a pochi anni prima, quando le trasfusioni avvenivano solo da paziente a paziente».
Lungo il corso degli anni, dalla Grande Guerra in poi, sono state molte le tappe fondamentali che hanno scritto la storia dell’anestesia moderna. «All’inizio la mortalità era elevatissima – spiega l’anestesista – perché non c’era la consapevolezza del controllo dei parametri vitali in ambito anestesiologico». Ma pian piano importanti scoperte hanno reso il lavoro dell’anestesista più sicuro ed efficace. «Dapprima la cannula di Ghedel (una cannula oro-faringea utilizzata per il mantenimento della pervietà delle vie aeree superiori, soprattutto in sala operatoria o durante le manovre di rianimazione) che per noi anestesisti è ancora un fulcro per il controllo delle vie aree – aggiunge lo specialista -, poi la nascita della macchina di Boyle, quindi dei primi apparecchi di anestesia, l’intubazione oro-tracheale, il laringoscopio».
Oggi, pur conservando gran parte dell’eredità del passato, questa branca della medicina continua la sua evoluzione. «Si va verso forme di anestesia sempre meno legate ad una reale compromissione e controllo delle funzioni vitali del paziente – spiega Cecchetti – prediligendo tecniche di anestesia loco regionale, finalizzate all’intervento. Il tutto – conclude l’anestesista – con la possibilità di dare amnesia al paziente per non fargli ricordare l’evento chirurgico».