GUARDA IL VIDEO | Nonostante sia Regione benchmark da sei anni, anche in Umbria la sanità rischia di crollare. La nuova puntata del reportage di Sanità Informazione in collaborazione con il sindacato CIMO
Anche le Regioni benchmark hanno gatte da pelare. Parliamo della sanità dell’Umbria, che dal 2013 si è collocata ininterrottamente tra le tre Regioni di riferimento per la determinazione dei fabbisogni e dei costi standard ai fini del riparto del Fondo sanitario nazionale. Un fatto positivo, quindi. Peccato che i dati presi in considerazione siano economici, e non qualitativi. E sebbene la sanità umbra cerchi di andare avanti, il rischio che il sistema crolli non è così lontano.
A pochi mesi dalle vicende giudiziarie che hanno scosso la sanità della Regione, abbiamo dedicato proprio all’Umbria la nuova puntata del reportage #DestinazioneSanità, in collaborazione con il sindacato CIMO. «Quella umbra è una situazione di stallo – è il commento del presidente della Federazione CIMO-Fesmed Guido Quici -. Ci sono quattro commissari che non possono né pianificare né programmare. Intanto, però, la sanità sta lentamente degradando ma nessuno può fare niente perché si aspettano i risultati delle prossime elezioni regionali».
Ad accoglierci, a Terni, c’è il segretario regionale della CIMO Marco Coccetta: «La sanità in Umbria sta reggendo grazie all’abnegazione e al sacrificio dei medici, che si sottopongono a turni forsennati e regalano quotidianamente al Sistema sanitario nazionale ore di lavoro non retribuite». Ci racconta allora storie simili a tante esperienze che in questi mesi abbiamo potuto toccare con mano in diverse Regioni d’Italia: «Ci sono ospedali di secondo livello dove, nel turno di guardia festivo o notturno, un medico deve gestire da solo anche 300 pazienti».
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«Il reparto di chirurgia toracica dell’azienda ospedaliera di Perugia, che è un DEA di I livello – gli fa eco Cristina Cenci, medico internista all’ospedale di Foligno – è portato avanti da quattro colleghi più il primario, quando cinque anni fa erano in sei più il primario. È chiaro che quattro medici non possono coprire l’assistenza H24, accogliere i pazienti che vengono dagli ospedali periferici, visitare e curare i pazienti che accedono ambulatorialmente e garantire le urgenze negli altri reparti».
«Anche in Umbria siamo tutti stanchi e affaticati – continua la dottoressa Cenci – e viviamo una situazione che non è più accettabile, perché la stanchezza non può che peggiorare la qualità del servizio che offri ai cittadini». «I sanitari umbri riescono ancora a fare un lavoro di alto livello – aggiunge il presidente dell’Ordine dei Medici di Terni Giuseppe Donzelli -. Ma “usque tandem abutere patientia nostra?”».
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Anche perché, non è solo l’incolumità dei camici bianchi ad essere a rischio. Coloro che potrebbero subire le conseguenze della stanchezza dei medici sono in primis i pazienti: il rischio che un medico stanco commetta un errore è più alto. È Fabio Suadoni, medico legale presso l’ospedale di Terni, a confermarlo: «Uno degli elementi più importanti che aumentano il contenzioso è la stanchezza dei medici. Se lavoriamo di più rispetto a quanto dovremmo, chiaramente siamo meno lucidi e sottoposti quindi a una percentuale di errore più elevata rispetto alla normalità».
Sono queste le conseguenze del blocco del turnover e dell’errata programmazione degli accessi alle scuole di specializzazione. Chi riesce a superare il cosiddetto imbuto formativo e a specializzarsi, però, ha quantomeno maggiori possibilità di trovare subito lavoro. Come Silvia Leonardi, giovane geriatra che lavora all’ospedale di Spoleto: «Ho iniziato a lavorare appena mi sono specializzata – racconta -. Sicuramente siamo costretti a fare turni di lavoro più pesanti, ma c’è anche un maggiore ricambio generazionale».
Non abbastanza per eliminare il precariato, e superare tutti quegli episodi che non dovrebbero accadere, in Italia, nel 2019: «Alcune colleghe che lavorano con contratti a tempo determinato in reparti pericolosi come la radiologia o i Pronto soccorso nascondono la gravidanza fino al sesto o al settimo mese, mettendo a rischio la propria salute e quella del bambino. Ma hanno paura che la maternità precluda loro la possibilità di rinnovare il proprio contratto di lavoro e di essere stabilizzate».
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Storie e situazioni che gli addetti ai lavori sperimentano quotidianamente, ma forse poco note ai cittadini: «I pazienti si aspettano un’assistenza di un certo livello qualitativo – spiega Coccetta – però sono sempre più disponibili ad allontanarsi da casa per usufruire di una buona prestazione. E allora – propone il segretario di CIMO Umbria – una soluzione potrebbe essere la riconversione degli ospedali periferici, affidando loro una missione ben precisa. In questo modo negli ospedali principali si curerebbero solo le acuzie, mentre le cronicità verrebbero trattate negli ospedali periferici. Quello che manca – aggiunge – è proprio questo collegamento tra ospedali centrali e strutture del circondario».
Questa è solo una delle possibili strade da percorrere per migliorare l’assistenza ai cittadini. Proposte che il sindacato può offrire alle istituzioni per «costruire sistemi organizzativi alternativi a quelli attuali, basati sull’esperienza che noi medici maturiamo sul campo. Purtroppo però – rivela Coccetta – troppo spesso non veniamo ascoltati né consultati. Ma la nostra missione sarà sempre quella di lavorare in difesa del cittadino, del Sistema sanitario e dei diritti dei medici».
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