L’esperto di rischio in sanità torna sul tema della contestata pratica clinica: «Garantire la sicurezza del parto – sottolinea – può garantire un importante risparmio al Servizio Sanitario nazionale dato che secondo il rapporto Marsh i rimborsi di risarcimento medio sono intorno ai 550mila euro cadauno e sono superiori 7 volte alla media degli altri». Poi si chiede: «Perché le raccomandazioni in materia non sono state aggiornate»
I rischi del parto naturale sia per la madre che per i nascituri sono sottostimati dal Sistema sanitario nazionale. La denuncia arriva dal professor Pierfrancesco Belli, Presidente della Commissione Rischi ed Etica Sanitaria di Incer Institute, e membro del Comitato di Indirizzo e Controllo dell’agenzia Regionale di Sanità Toscana. Quella di Belli è una battaglia di lunga data, in particolare contro i rischi della manovra di Kristeller, una manovra ostetrica spesso eseguita durante il parto vaginale in contemporanea con le contrazioni uterine.
L’Organizzazione Mondiale della sanità dal 1996 si limita a non raccomandarne l’uso pur non inserendola tra le pratiche chiaramente pericolose. In Italia il Ministero della Salute dal 1991 ha istituito la scheda di dimissioni ospedaliera (SDO) come flusso informativo principale per la segnalazione dei dati necessari al controllo dei rischi e per la programmazione sanitaria. Lo SDO prevede dei codici nella lista delle prestazioni ma, secondo il professor Belli, un errore di codifica impedisce la segnalazione del metodo di parto “manovra di Kristeller” e quindi da allora ad oggi mai è stata fatta una vera prevenzione dei rischi in sala parto. «La manovra di Kristeller viene considerata una alternativa “a costo zero” sia al taglio cesareo sia all’introduzione nella pratica clinica di dispositivi medici atti a prevenire le condizioni di uso della manovra di Kristeller nel parto», sottolinea il professor Belli.
Belli contesta poi la volontà di procedere a una riduzione dei tagli cesarei senza guardare però all’obiettivo superiore di «prevenire i rischi per madre e neonato durante il parto e quindi garantire qualità e sicurezza psico-fisica alla mamma, al neonato, a tutta la famiglia». Peraltro – sottolinea Belli – «garantire la sicurezza del parto può garantire un importante risparmio al Servizio Sanitario nazionale dato che secondo il rapporto Marsh i rimborsi di risarcimento medio sono intorno ai 550mila euro cadauno e sono superiori 7 volte alla media degli altri». Da qui l’appello al neoministro Speranza affinchè lavori per migliorare la sicurezza del parto: «In primis migliorando gli standard delle sale parto, i requisiti, le tecnologie, le procedure, la formazione del personale» e poi mediante la modifica dello SDO, cioè la Scheda di Dimissione Ospedaliera, che al suo interno deve segnalare l’origine delle degenze secondarie».
Professore, secondo i dati il parto continua ad essere una delle cause principali di contenziosi e risarcimento in sanità…
«Questo è comprovato da diversi studi come quello del gruppo Marsh, – il più grosso gruppo di brokeraggio assicurativo che compila per l’Italia annualmente una revisione delle tipologie di danno e quindi di sinistro che occorrono nei vari ospedali italiani – che nella 4a edizione pubblicava che le richieste di risarcimento danni erano per il 78,5% riferiti al parto vaginale e il 22% in seguito a parti cesare. Nella 9a Edizione tale studio specifica che “gli errori da parto ricoprono il 14% circa del liquidato totale […] e mostrano il maggior importo liquidato medio per singolo evento, con oltre € 405.000 ribadendo che “il tipo di evento denunciato che ricorre maggiormente nei casi di top claims: sono gli errori chirurgici (23,2%), errori da parto (21%) […] e che I top claims sono i sinistri che esitano nel modo peggiore: l’incidenza del decesso è del 42%. Che le Unità Operative più colpite sono Ostetricia e Ginecologia, Chirurgia Generale e Pronto Soccorso”. E infine aggiunge concludendo: “la sinistrosità nel settore Privato risulta essere inferiore rispetto al Pubblico”. Proprio nella sanità privata si eseguono maggiormente i tagli cesarei».
Lei sostiene che sia le mamme che i nascituri possono rischiare meno…
«Assolutamente. Mettere in sicurezza le prestazioni vuol dire garantire quello che è la base del servizio sanitario nazionale, cioè l’articolo 32 della Costituzione, il diritto alla salute pubblica, che è sottolineato nell’articolo 1 della legge Gelli che dice che la salute deve essere non solo garantita dal SSN ma deve essere sicura. Cioè inserisce il concetto di sicurezza all’interno del diritto alla salute».
A tal proposito si sente di fare un appello al neoministro della Salute? Cosa si può fare nel concreto, anche in virtù dei rischi della manovra di Kristeller che lei da anni denuncia?
«La manovra di Kristeller è solo la punta dell’iceberg. L’evento nascita va visto per le caratteristiche che sono sempre più emerse nei decenni, cioè che gli standard delle sale parto, i requisiti, le tecnologie, le procedure, la formazione che sono state codificate nei vari decreti ministeriali e Conferenze Stato-regioni a partire dal 2000 col decreto ministeriale del POMI – Progetto obiettivo materno infantile in cui nacquero in modo tangibile per la prima volta quelle che dovevano essere le dotazioni di ogni singola sala parto. Queste dotazioni si sono dimostrate sempre più insufficienti,
Lei ritiene invece il cesareo a volte sia più che necessario…
«Questo abbattimento è stato forzato con il decreto ministeriale 70 del 2015».
Il parto cesareo ha un costo. Ma il costo sarebbe comunque inferiore al costo dell’eventuale risarcimento….
«Tutto questo per risparmiare questi 800-1000 euro a parto, questo il costo di un taglio cesareo nelle regioni. Vogliono persistere con questa apparente naturalità con la manovra di Kristeller, credendo di alleggerire il costo dello Stato. Si vuole far credere che la naturalità faccia bene, ma questa naturalità è esattamente il contrario di quello che dovrebbe essere. Nella governance l’SSN deve recepire le esigenze del paziente. Sul numero di nascite abbiamo un dato abbastanza certo che viaggia dai 500mila ai 460mila parti all’anno. Prima se ne facevano oltre 600mila di parti, ora 460mila. Il ministero sa che si parla di circa mezzo milione di persone. È su quel capitolo di spesa che si sono voluti alleggerire i costi. Ma come? Hanno alleggerito imponendo sempre più l’abolizione del taglio cesareo».
Quando si fa la manovra di Kristeller?
«Va da sé che se una partoriente ha contrazioni uterine valide e il feto si incanala bene il parto è assolutamente naturale e fisiologico e, per fortuna, i parti con queste caratteristiche sono la maggior parte. I problemi sorgono quando in periodo espulsivo, la donna incomincia a essere veramente stanca e affaticata psicofisicamente, non ha sufficienti contrazioni e/o la discesa del feto è difficile, ostacolata. Siccome non si hanno, o non si sanno usare (io infatti proposi con un disegno di legge il monitoraggio con l’ecografia intrapartum), o si rifiutano nuove tecnologie, ecco che le contrazioni uterine in quel momento vengono stimolate solo con il supporto farmacologico e con una o più manovre di Kristeller. L’obbligo di ridurre i cesarei è un obbligo ambiguo. La riduzione obbligatoria e coercitiva non va a mettere in sicurezza il periodo espulsivo del parto. Questi sono i parti che possono creare gravi complicanze alla madre e al bambino perché soggetti a rimedi non EBM e pericolosi come la Kristeller, portano o peggio acuiscono una sofferenza fetale. L’emergenza ostetrica non può essere risolta con un fattore di rischio! Il personale di sala parto ritengo che sia consapevole della pericolosità della manovra di Kristeller, ma non informa come invece dovrebbe la donna nei corsi di preparazione alla nascita né chiede uno specifico consenso informato al suo uso peraltro obbligatorio di legge. Pertanto ritengo quindi che la omissione di non segnalarne l’uso, di non informare preventivamente le donne sui rischi medico legali del suo uso e di non rilasciare quando poi la usano uno specifico consenso informato si possa definire una “medicina difensiva di tipo omissivo” della quale sfuggono completamente i costi in termini di salute feto materna neonatale».
Il messaggio che lei vuole lanciare è dunque “Rendiamo sicuro il parto, salviamo vite e risparmiamo soldi per la sanità”…
«Certamente. C’è anche un altro fatto che è molto importante. Il Ministero della Salute ha dimostrato oramai che le modalità stesse di accreditamento non rispettano la Raccomandazione sulla Prevenzione della Morte Materna durante il travaglio/parto del 2008, perchè mai è stata aggiornata con la “LG sulla emorragia post partum” emanata dall’ISS del 2016 che scrive che la manovra di Kristeller è causa di rottura ed inversione di utero quindi di emorragia materna che a sua volta è una delle principali cause di mortalità materna. Inoltre, lungi da me dal fare dietrologia, ma appare che i meccanismi del governo sanitario centrale e locale con tutti i suoi enti, siano stati ideati e costruiti per erogare prestazioni inadeguate ma che appaiono formalmente virtuose. Sembra che il sistema sanitario voglia mantenere coperta questa situazione. La contraddizione è che la Governance Sanitaria dovrebbe essere basata sul rispetto e l’aggiornamento delle raccomandazioni per evitare questi eventi mortali e non sulla omissione dell’uso e delle cause di questi eventi mortali anche dovuti a voler risparmiare tout court sui tagli cesarei che purtroppo si riflette sulla pelle delle persone. In riferimento al parto, come sopra scritto, vi è la Raccomandazione per la prevenzione della morte materna e la Raccomandazione per la prevenzione della morte e disabilità grave del neonato sano superiore o uguale a 2500 grammi. La prima raccomandazione è del 2007, la seconda è del 2014. In quella del 2014 si sottolinea che bisogna eliminare “manovre pericolose e inappropriate” (proprio come la Kristeller), ma queste raccomandazioni non sono mai state aggiornate. A quanto ammonta la spesa sanitaria in PMA, diagnosi prenatale invasiva, non invasiva, in ecografie, 2D, 3D, 4D, Doppler, ecc…tutto ciò per sapere se il nascituro sarà sano ed in salute? Bene ma perchè lasciare al caso il parto? Perchè non garantire il massimo dell’attenzione e della sicurezza alla nascita?».
Professore, questa situazione che danni comporta all’ amministrazione pubblica ?
«I danni sono facilmente comprensibili, ma non stimabili, proprio perchè la manovra non risulta dai flussi informativi è una ‘ghost manoeuver’: utilizzare DRG non corretti distorce tutta la governance sanitaria, gli accreditamenti del materno infantile, degli ospedali e il loro management inteso come organizzazione del lavoro e sviluppo del sistema GRC, formazione, gestione dati e le relative performance assistenziali intese come appropriatezza e qualità clinica e qualità e sicurezza per le attività clinico- assistenziali. Quindi abbiamo una continua produzione di sprechi sanitari che impediscono poi investimenti coerenti con i veri obiettivi del SSN, senza contare che tale contesto è in violazione di decine di norme nazionali. Quindi tale generale condizione di caos scientifico, clinico ed organizzativo della nostra governance sanitaria nel parto genera poi l’impedimento a prendere contezza della necessità di migliorare gli standard di sicurezza dei lea del parto vaginale quindi impediscono che il nostro SSN aggiorni gli standard dei LEA con soluzioni tecnologiche ed organizzative per sostituirle con la prevenzione dei rischi nel parto vaginale».