In occasione del 121° Congresso della Società Italiana di Chirurgia, il presiedente Paolo De Paolis ha poi sottolineato il tema delle eccessive aspettative dei pazienti nei confronti del medico chirurgo: «Le possibilità del chirurgo sono moltissime, sono cresciute grazie alle nuove tecnologie ma ci troviamo sempre di fronte a un nemico terribile che è la malattia, il tumore»
«Le aspettative sono alte, ma non ci può essere la pretesa del risultato in campo chirurgico». Il Presidente della Società Italiana di Chirurgia Paolo De Paolis riassume ai microfoni di Sanità Informazione uno dei messaggi chiave del 121° Congresso della Società Italiana di Chirurgia che si è svolto a Bologna dal 5 all’8 ottobre e ha visto la presenza di quasi mille chirurghi provenienti da tutto il Paese. Un messaggio che riflette quello che è lo stato d’animo della categoria, storicamente uno dei capisaldi della classe medica ma che negli ultimi anni vede crescere criticità: dall’aumento delle aggressioni e dei contenziosi alla diminuzione degli specializzandi e alla fuga dei cervelli. Sullo sfondo la prospettiva di un avvicinamento tra le varie associazioni chirurgiche italiane, una strada necessaria per parlare con una sola voce alle istituzioni: «È un percorso che non sarà velocissimo, noi vogliamo che abbia delle tappe fissate per non rimandare. Ci siamo dati come prima tappa il prossimo Congresso congiunto delle società italiane di chirurgia dove pensiamo di costruire la prima grande impalcatura che le possa contenere, le possa preservare, le possa rilanciare nelle qualità e nelle possibilità che hanno».
Presidente, qual è il messaggio che emerge da questo Congresso?
«Il messaggio che lanciamo è che non ci può essere un atteggiamento di pretenziosità assoluta nell’atto medico chirurgico in particolare. Le aspettative sono legittime, oggi sappiamo che le possibilità del chirurgo sono moltissime, sono cresciute grazie alle nuove tecnologie ma ci troviamo sempre di fronte a un nemico terribile che è la malattia, il tumore. Dobbiamo mettere in atto tutte le nostre risorse spesso con grande successo. Là dove questo non fosse possibile dobbiamo rimboccarci le maniche ma non perdere risorse scontrandoci per un risultato che a volte purtroppo non può arrivare. Là dove possiamo migliorare è nella politica della sicurezza, del miglioramento degli outcome e soprattutto nel mettere in atto una serie di azioni che, con la società civile e con le risorse tecnologiche che ci vengono date, possono migliorare il risultato del chirurgo».
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Uno dei messaggi è che non ci può essere la pretesa del risultato in campo chirurgico…
«Si, vogliamo sottolineare questo. Purtroppo, l’aspettativa è così alta che, per quanto i nostri passi in avanti siano giganteschi, non possono colmare tutte le difficoltà e i problemi. Oggi in tanti i campi si hanno questo tipo di pretese, le si estendono al campo sanitario ma anche la nostra possibilità ha dei limiti. Oggi, dopo tanta spinta al successo della medicina e della chirurgia, dobbiamo porre un freno a queste aspettative perché ci pongono in una condizione di contrasto con il mondo della società civile, con i rappresentanti che a volte si ergono a paladini dei diritti dei pazienti che noi siamo i primi a voler preservar. Serve una alleanza e non un contrasto».
Il viceministro Chirurgo Pierpaolo Sileri sostiene che se un giovane decide di andare all’estero dopo l’università perdiamo un possibile bravo medico, se però decide di andare all’estero dopo la specializzazione è una tragedia perché perdiamo un medico preparato e formato. Si spende 350mila euro in media per formare un medico e un chirurgo…
«Pensiamo che il capitale umano, specie quando è di così alta professionalità, sia una risorsa straordinaria del paese, di una azienda, di un sistema sanitario. Perderlo non è solo uno spreco, è sottrarre cultura, il meglio della nostra generazione formata per concederlo ad altri. Noi così verremmo privati da questa grandissima risorsa. Non ce lo possiamo permettere. Dobbiamo avere con noi le forze migliori, quelle dei giovani. Dobbiamo puntare a preservare questo grande capitale umano».
Però bisogna avere le risorse…
«C’è un problema di fondo anche legato alla retribuzione che a volte attrae all’estero. Noi dobbiamo fare in modo che tutte le ragioni per trattenere qui un giovane siano messe in campo, le ragioni politiche sono anche quelle di dare campo alla sua capacità culturale. L’argomentazione economica non è trascurabile ma è un investimento, non è una spesa nella misura in cui trattenere queste grandi capacità non può che rilanciare il paese e avere un ritorno in termini di qualità di vita e di rilancio in tutti i campi. Laddove si è investito il ritorno è stato moltiplicato».
Ora inizia un percorso importante, quello che vedrà tra un anno la Società di chirurgia, l’Associazione dei chirurghi ospedalieri e una serie di società che ruotano intorno a queste due grandi associazioni unirsi, un percorso in qualche modo naturale che non è mai avvenuto ma che inizia a prendere forma e concretezza…
«È un percorso che ci è stato sollecitato negli anni e avvertito dalla classe chirurgica come necessario. È un percorso che non sarà velocissimo, noi vogliamo che abbia delle tappe fissate per non rimandare. Ci siamo dati come prima tappa il prossimo Congresso congiunto delle società italiane di chirurgia dove pensiamo di costruire la prima grande impalcatura che le possa contenere, le possa preservare, le possa rilanciare nelle qualità e nelle possibilità che hanno. La ragione è presentarsi in un momento così critico per la chirurgia al mondo delle istituzioni, dell’informazione e alla società civile con una compattezza che oggi è necessaria. L’unione fa la forza».