Lo denuncia Tommasa Maio, segretario nazionale di FIMMG Continuità Assistenziale: «Necessario ripensare a modello assistenziale per la nostra professione»
Le donne rappresentano il 60% dei futuri medici di medicina generale, ma ancora oggi i dati mostrano che la componente femminile della professione, in tutte le regioni italiane, percepisce in media compensi inferiori rispetto ai colleghi. «Abbiamo verificato che per quel che riguarda le donne medico di continuità assistenziale c’è una diminuzione del 16% come dato medio nazionale, mentre per le donne medico di famiglia dell’8%». Sono le parole di Tommasa Maio, segretario nazionale di FIMMG Continuità Assistenziale, che in occasione del 76° Congresso FIMMG-Metis ha partecipato alla tavola rotonda dall’evocativo titolo “Speriamo che sia femmina?”.
«Personalmente questo dato mi ha stupito, perché mentre riuscivamo subito a trovare una motivazione per le donne medico di continuità assistenziale, che visto il contesto sono costrette a scegliere di lavorare per un tempo minore per poter rendere compatibile le scelte di vita privata con quelle professionali, mi ha stupito che questo dato si confermasse, seppur in percentuale minore, anche tra le donne medico di famiglia. Ci siamo resi conto che rispetto agli uomini, le donne medico di famiglia tendono di più ad autolimitarsi. Per cui il motivo rimane lo stesso, cioè la necessità di dover scegliere e sacrificare almeno in parte le attività professionali, ancora una volta per poter reggere l’altro sistema, quello familiare».
Tra le problematiche più comuni per le donne medico di continuità assistenziale c’è la gestione delle maternità. Secondo quanto raccolto dalle ricerche FIMMG, le dottoresse verrebbero lasciate fuori dal servizio non appena comunicano alle aziende lo stato di gravidanza. Questo per rispondere in maniera più o meno corretta al dettato del Testo Unico di tutela della maternità. «In realtà non è così – spiega ancora Maio -, perché le norme prevedono che nell’impossibilità di svolgere i turni in orario notturno oppure in condizioni potenzialmente pericolose per la gestante e il bambino, è necessario determinare una riallocazione. Abbiamo verificato dall’esperienza delle varie regioni che le aziende molto spesso non trovavano delle sedi di riallocazione». Da qui nasce il progetto sperimentale promosso in provincia di Cuneo: «Il nostro segretario provinciale di continuità assistenziale Lorenzo Marino, confrontandosi con le colleghe, è riuscito a mettere insieme un piano molto interessante, perché dà stabilità non solo ai medici di continuità assistenziale ma anche alla medicina generale. Ovvero, le donne che non possono restare in pieno servizio vengono inserite in attività della medicina di famiglia, ad esempio a sostituire altri colleghi oppure a fare attività formative. Si comincia all’interno della medicina generale a dare una risposta».
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Si consolida così un modello che si sta affermando in questi ultimi anni, quello di passare da una medicina generale individuale a una medicina generale di gruppo. «Lo abbiamo affinato ancora di più – continua il segretario nazionale di FIMMG Continuità Assistenziale -. Sicuramente la squadra è indispensabile, però adesso abbiamo aggiunto un ulteriore elemento di valore ed è il rafforzamento del singolo medico, perché non ci dimentichiamo che una percentuale altissima dei comuni italiani sono comuni con basso livello di popolazione dispersi sul territorio. Allora, quello che noi vogliamo fare è rafforzare quello che noi definiamo il micro-team. Sia chiaro, il micro-team non è un team di medici, bensì formato da un medico che ha anche del personale di studio e un infermiere. Provate a pensare quanto sia ancora più determinante per una donna medico, avere una propria organizzazione professionale così raffinata, che le permetta di gestire bene i tempi di vita privata e i tempi di vita professionale. Il passaggio che noi abbiamo fatto, l’anello che ci mancava e che adesso consolidiamo, è il rafforzamento del “mattone elementare” della medicina generale. Il nostro ambizioso obiettivo è che ogni medico di famiglia possa avere una segreteria e un infermiere che lo aiuti a prendersi carico dei propri pazienti. Una unità elementare così forte, così qualitativamente migliorata nella sua capacità assistenziale diventa uno snodo ancora più utile alla rete formata da più micro-team. Quindi, ogni medico ha il suo team, i vari micro-team si mettono in rete per affrontare il carico assistenziale».