In occasione del World Psoriasis Day (29 ottobre) la Fondazione Corazza Onlus e l’Associazione Apiafco scendono in campo per sensibilizzare verso questa patologia. La mostra “La bellezza nell’imperfezione” si svolge dal 26 al 31 ottobre a Bologna. Pinton, Presidente della Società Italiana di Dermatologia: «La psoriasi ha un interessamento sistemico, molti pazienti soffrono di una malattia articolare, in alcuni casi si tratta di qualche dolore transitorio, ma molte volte può arrivare fino all’invalidità»
Carlotta è una giovane donna affetta da psoriasi, ed è la protagonista della mostra fotografica realizzata dalla Fondazione Corazza per la campagna di sensibilizzazione in occasione della giornata mondiale sulla patologia (29 ottobre) che in Italia colpisce due milioni di persone. La mostra “La bellezza nell’imperfezione” si svolge dal 26 al 31 ottobre a Bologna.
«Grazie a questo progetto e alla fondazione Corazza – spiega Carlotta – ho avuto una mia evoluzione, personale. Quello che mi hanno spronato a fare questi dodici fotografi è stato di sentirmi bella».
Carlotta ora non di nasconde più. Dodici scatti d’autore le hanno restituito stima per sé stessa e fiducia negli altri. Oggi non ha più vergogna e paura del giudizio della gente. A prenderla per mano l’associazione APIAFCO che quotidianamente cerca di sostenere i malati con una corretta informazione.
«Il nostro ruolo è di agire da filtro tra i pazienti e lo specialista, anzi più che filtro – si corregge Valeria Corazza, Presidente di APIAFCO – siamo una sorta di terzo compagno, facciamo questo viaggio insieme perché a noi non interessa mettere il paziente al centro, ma lavorare insieme al paziente che dovrà a sua volta diventare sempre più consapevole ed esperto. Il nostro messaggio è chiaro – aggiunge – invito tutti a credere che oltre la pelle c’è di più, questi pazienti devono essere conosciuti, perché oltre qualche macchia c’è molto altro, e soprattutto la psoriasi non è contagiosa».
Se gli scienziati ignorano la causa esatta della malattia, è altrettanto vero che il sistema immunitario e la genetica hanno un ruolo importante nello sviluppo. Si stima che circa il 10% delle persone abbia una o più varianti coinvolte nella psoriasi, ma solo dal 2 al 4 per cento della popolazione sviluppa la malattia. È evidente che esiste una combinazione tra geni ed esposizione a specifici fattori ambientali in grado di svilupparla. È opportuno dunque fare chiarezza e trasferire informazioni corrette sulle giuste contromisure da adottare per fronteggiarla.
«Fino a poco tempo fa c’era un’errata convinzione che la psoriasi fosse la malattia dell’uomo sano – rimarca Piergiorgio Calzavara Pinton, Presidente della Società Italiana di Dermatologia – invece la psoriasi ha un interessamento sistemico, molti pazienti soffrono di una malattia articolare, in alcuni casi si tratta di qualche dolore transitorio, ma molte volte può arrivare fino all’invalidità, perché diventa destruente sull’apparato articolare. Si è visto che i malati hanno un maggior rischio di malattie cardiovascolari, un maggior rischio di malattie metaboliche, spesso hanno un aumento di peso, e possono avere anche problematiche a livello neurologico, in quanto le molecole infiammatorie fabbricate nella cute, entrano nella circolazione e possono creare danni in qualunque organo».
La ricerca in che direzione sta andando?
«Ciò che si sta studiando e verso cui si indirizzano le energie è la comprovata correlazione tra più organi, pertanto il paziente necessita di una terapia olistica cioè capace di trattare la malattia sotto più angolazioni interessando più organi».
Esistono cinque forme di psoriasi: a placche, guttata, inversa, pustolosa e eritrodermica. In tutti i casi a destabilizzare il paziente, oltre al prurito e alla sensazione di fastidio, è l’aspetto psicologico che rappresenta un ambito spesso trascurato, ma di primaria importanza nella cura di un malato di psoriasi.
«Si stima che questi pazienti abbiamo una incidenza maggiore dei disturbi dell’umore – mette in evidenza Vera Tergattini, Specialista di Dermatologia dell’Università di Bologna – e questo dato è emerso soprattutto negli ultimi anni, prima era un aspetto trascurato. Oggi i problemi non sono solo estetici, ma di relazioni sociali, il paziente si sente ghettizzato, escluso e addirittura contagioso. Il nostro ruolo di medico – prosegue – è quello di approfondire sempre di più queste tematiche.
Inoltre, il medico deve saper affrontare un altro tema importante l’aderenza alla cura. Infatti, troppe volte i pazienti abbandonano dopo poco tempo se non avvertono miglioramenti immediati. Cosa bisogna fare per invertire questa tendenza? Non è così facile avere sempre un’aderenza terapeutica, spesso i pazienti cambiano dermatologo, sono sfiduciati e non vedono una risposta immediata alla terapia – aggiunge la dottoressa Vera Tergattini -. Quello che è l’obiettivo dei dermatologi e di ogni medico è di riuscire a dare una terapia ad hoc su ogni paziente. Si parla di terapia sartoriale, e noi dovremmo essere dei sarti che cuciono una terapia su misura per il paziente. Questo creerebbe un’aderenza maggiore».