Il Presidente della Società italiana di Neurologia: «Si è calcolato che in una singola partita di calcio un atleta professionista tocca la palla di testa dalle 6 alle 12 volte, quindi nella sua vita calcistica la toccherebbe migliaia di volte». Sulla Sla: «L’ipotesi più verosimile è che il tutto sia dovuto a tossine che un tempo erano presenti sui campi di calcio e che si trovano nelle piante dell’isola di Guam»
Buone e cattive notizie per i calciatori professionisti. Un recente studio realizzato in Scozia su un campione di 7676 atleti e pubblicato sul New England Journal of Medicine ha messo in luce una minor mortalità per infarto del miocardio, ictus cerebrale e tumori polmonari, ma una maggiore presenza tra gli ex calciatori di malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Secondo il presidente della Società italiana di Neurologia, professor Gioacchino Tedeschi, le cause vanno ricercate nell’intensa attività agonistica. «Si è calcolato che in una singola partita di calcio un atleta professionista tocca la palla di testa dalle 6 alle 12 volte, quindi nella sua vita calcistica la toccherebbe migliaia di volte. Quindi sembrerebbe che, all’origine di questa maggiore mortalità per Alzheimer, ci possano essere i colpi di testa. Però, se si fa una sotto analisi e si paragonano i calciatori con i portieri che ovviamente non colpiscono la palla di testa, è emerso che non esiste alcuna differenza».
«Questo è un primo dato che deve fare riflettere – rimarca Tedeschi -. Una seconda osservazione, che deve essere fatta, è che la ricerca prende in considerazione calciatori professionisti che presentano per alcuni versi le stesse caratteristiche di altri sportivi di élite, ma che fanno sport di maggior contatto, come il football americano. Lì non si tratta di traumi minori per il colpo di testa, ma di traumi maggiori per le contusioni che gli atleti si procurano durante gli scontri».
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Sforzo fisico intenso e microtraumi, invece, non avrebbero alcuna correlazione con la temutissima Sla, sclerosi laterale amiotrofica, che purtroppo negli ultimi decenni ha causato la morte di diversi calciatori professionisti.
«L’ipotesi più verosimile è che il tutto sia dovuto a tossine che un tempo erano presenti sui campi di calcio e che si trovano nelle piante dell’isola di Guam. Esistono queste tossine, gli uccelli le mangiano, gli abitanti mangiano i volatili e quindi ingeriscono queste tossine che inducono un parkinsonismo indotto. Quindi l’ipotesi che c’è per i calciatori è che il tutto derivi dai diserbanti e dalle tossine presenti nei campi in erba calpestati piuttosto che nei traumatismi».
Cartellino giallo dunque per il calcio professionistico. Per trasmettere un messaggio corretto agli atleti, cosa dobbiamo dire?
«Un messaggio che bisogna dare agli atleti, per non spaventare nessuno, riguarda i calciatori non professionisti che possono tranquillamente giocare a calcetto e tutti possiamo tranquillamente mandare i nostri figli a giocare nelle scuole calcio».