Il dottor Giosuè Zizza ha un ambulatorio nel quartiere operaio San Paolo IV a pochi chilometri dall’acciaieria. «Ci trattano alla stregua del Pil ma qui le persone muoiono di tumore molto di più che in altre parti d’Italia»
«La situazione di noi operatori sanitari è veramente drammatica, siamo abbandonati». È un fiume in piena Giosuè Zizza, medico di famiglia del quartiere popolare Paolo VI a Taranto. Raggiunto telefonicamente da Sanità Informazione, il dottore ci racconta di quell’agglomerato di case a pochi chilometri dall’acciaieria ex Ilva, nato per ospitare i tantissimi operai del mega impianto.
«La cosa che ci fa più male sia come medici sia come cittadini è che siamo tutti sottoposti ai fumi dell’ex Ilva. Noi siamo veramente arrabbiati, soprattutto noi operatori sanitari che ci rendiamo conto della situazione» spiega ancora il dottor Zizza, dal 1994 in prima linea nel quartiere abitato principalmente dagli operai della fabbrica e dalle loro famiglie. «Ci vediamo trattati sui media nazionali alla stregua del Pil. Parlano dell’acciaio come asset strategico per l’economia italiana quando a Taranto c’è gente che muore di tumore molto di più che in altre parti d’Italia».
Il dottor Zizza parla anche di Chiara, la bambina protagonista del docu-film di Stefano Maria Bianchi “Ilva. A denti stretti”: «La conosciamo, abita come noi nel quartiere, è figlia di amici e ha la leucemia linfoblastica acuta». Non è la sola. Attualmente il dottor Zizza ha in carico 102 pazienti oncologici, di cui 11 tumori alla mammella, 5 al polmone e 14 alla tiroide.
Una condizione che non ha mancato di colpire anche la famiglia del medico. «Forse uno dei primissimi pazienti che è venuto a mancare è stato proprio mio suocero. Ha lavorato per trent’anni nell’acciaieria e anni dopo essere andato in pensione è morto per neoplasia polmonare. L’Inail ha riconosciuto la malattia professionale».
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Una storia personale non diversa dalle tante vissute in ambulatorio. «Sempre nello stesso periodo, morì un operaio per neoplasia e i familiari si astennero dal fare il riconoscimento della malattia professionale per paura delle ritorsioni che i dirigenti della fabbrica avrebbero potuto perpetrare nei confronti del figlio, anche lui impiegato in Ilva. Oppure una signora deceduta per asbestosi, una malattia tipica dell’amianto che di solito sviluppano gli operai. La signora lavava tutti i giorni la tuta del marito. Si è ammalata per i minerali depositati sugli indumenti. Ancora, in questi ultimi mesi, in una famiglia si sono ammalati di tumore padre e figlio. Il padre lavorava al porto, il figlio è un pasticcere a Taranto, entrambi hanno una neoplasia polmonare».
«Ovviamente ci sono concause» precisa il dottore. «In genere la neoplasia è una patologia a eziologia multifattoriale. Non è detto che la causa unica sia l’inquinamento ambientale, ma ci sono più cause che concorrono. E io le potrei raccontare purtroppo tanti casi simili».
A Taranto, tuttavia, chi non sviluppa neoplasie combatte ogni giorno con malattie sempre legate all’inquinamento. «Bronchiti croniche ostruttive, dermatiti a eziologia inspiegabile, allergie varie e irritazioni bronchiali dovute alle polveri. Ci sono un sacco di malattie banali, se noi ci mettessimo a fare spirometrie in ambulatorio a questi pazienti, vedremmo molto probabilmente che nessuno raggiunge una capacità polmonare efficace», rivela con amarezza il dottor Zizza.
Ma cosa vuol dire per un medico che ogni giorno è a contatto con i suoi pazienti, vivere in questo contesto? «Vivere in questo quartiere non è bello» ci risponde sospirando. «Ho detto ai miei figli di andarsene da Taranto, soprattutto a loro che hanno dei bambini piccoli. Perché in ogni famiglia c’è almeno una persona che si ammala di tumore. Tocco con mano situazioni di malattie neoplastiche praticamente quasi tutti i giorni. I bambini si ammalano di più e quando senti di un bambino che si ammala viene da piangere, ma la preoccupazione nostra è i danni che questi inquinanti ambientali potranno causare nel Dna dei nostri figli».