Dagli studi più recenti emerge che la flora batterica influisce sulle infiammazioni del corpo e, per questo, può essere un’arma per colpire il cancro. Di questo si parlerà al primo convegno internazionale “MIBIOC – The way of the microbiota in Cancer”, in programma il 21 e 22 novembre presso l’istituto dei tumori di Milano
Nuove speranze dal microbiota per terapie oncologiche ed autoimmuni. Secondo recenti studi è emerso che la flora batterica presente nell’organismo influisce sulle infiammazioni e di conseguenza può essere un’arma per colpire il cancro. Una scoperta che sarà al centro del primo convegno internazionale dedicato al ruolo del microbiota in Oncologia, “MIBIOC – The way of the microbiota in Cancer”, in programma il 21 e 22 novembre presso l’istituto dei tumori di Milano.
“Sappiamo che c’è un’influenza diretta dalla flora batterica intestinale sul nostro benessere, questa è una scoperta per altro sconvolgente -ammette il Professor Riccardo Valdagni Direttore di Radioterapia Oncologica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e Presidente di MIBIOC – perché cambia un po’ i rapporti con batteri, virus o funghi che vivono dentro e sul nostro corpo. Abbiamo sempre pensato che siano passeggeri passivi del nostro corpo, invece ci rendiamo conto che sono dei co-piloti e guidano con noi il nostro benessere ed anche il nostro malessere.
Ad oggi questi studi che risultati stanno dando?
Per Ester Orlandi, Radiologa ed Oncologa presso l’Istituto Nazionale dei Tumori si può parlare di associazione tra diversi tipi di microbiota e forme tumorali. “Questa è una associazione che viene riconosciuta per diverse patologie, – mette in evidenza – primo tra tutti è l’Helicobacter Pylori per il tumore allo stomaco, ma ci sono altre specie”.
Trasferimento di microbiota intestinale
L’ultima frontiera della ricerca si sta spingendo in una direzione che potrebbe dare una svolta significativa nella cura dei tumori. A parlarne con una certa cautela, cercando di frenare facili entusiasmi, è il dottor Claudio Verneri dell’Oncologia medica Uno dell’Istituto dei Tumori di Milano.
“Sulla base di questi studi preclinici esiste la possibilità di trasferire la sensibilità a trattamenti antitumorali, semplicemente attraverso un trasferimento di microbiota intestinale. Se questo fosse vero, nell’uomo saremmo di fronte ad una rivoluzione globale nell’ambito oncologico.
In che modo si può trasferire il microbiota da un soggetto ad un altro per rendere efficace la terapia?
“Sono in studio diverse possibili strategie più o meno invasive: la strategia meno invasiva consiste nel modulare il microbiota umano attraverso dei cambiamenti nello stile di vita, in particolare del regime alimentare. Un secondo approccio un pochino più invasivo consiste nell’introdurre dall’esterno, attraverso i probiotici, dei microorganismi vivi che una volta ingeriti e superata la barriera gastrica, arrivano nell’intestino e vanno a competere con quelle che sono le specie di batteri già esistenti, con l’intento di modulare la composizione del microbiota umano. Talvolta questi probiotici vengono somministrati in combinazione con dei prebiotici, ovvero molecole che dovrebbero fungere da nutrimento per i probiotici, favorendo l’attecchimento a livello intestinale. Infine, c’è la terza possibilità, che è quella più drastica e invasiva, che negli animali da laboratorio, e anche nell’uomo in specifiche patologie, prevede un trapianto fecale o di microbiota”.
In che cosa consiste il trapianto di microbiota?
“Consiste essenzialmente nel trasportare un microbiota da un soggetto sano, o malato che ha risposto molto bene alle terapie, in un altro soggetto che invece è resistente a quel trattamento al fine di sensibilizzarlo, trasportando il microbiota”.
In che modo?
“Occorre, innanzitutto, fare l’ablazione, ovvero una drastica riduzione del microbiota del soggetto ricevente in maniera tale che quando i batteri vengono trasferiti, abbiano più probabilità di attecchire in un campo relativamente vuoto o poco colonizzato da vecchi batteri. Studi clinici sono in corso anche per sperimentare l’efficacia in oncologia di questa metodica, che, rispetto le altre due, è più complessa, ma potrebbe avere il vantaggio di modulare in maniera più rapida, drastica e forse più duratura un microbiota che magari con il solo approccio alimentare o con i probiotici, potrebbe avere più difficoltà effettivamente a modificarsi”.