Di Pierfrancesco Belli, Comitato di Indirizzo e Controllo dell’agenzia Regionale di Sanità Toscana
«Come può un paese civile istituire la giornata contro la violenza delle donne quando ad esse e ai loro figli viene sistematicamente negata la sicurezza nel momento più prezioso della loro vita?». Parte con questa domanda provocatoria la riflessione che il professor Pierfrancesco Belli, Presidente della Commissione Rischi ed Etica Sanitaria di Incer Institute, e membro del Comitato di Indirizzo e Controllo dell’agenzia Regionale di Sanità Toscana, affida alle colonne di Sanità Informazione. Una riflessione che approfondisce il tema della violenza ostetrica su cui recentemente si è pronunciato anche il Consiglio d’Europa.
«Un paese civile – continua Belli – non può ritenersi tale se i diritti sono solo sbandierati. Non è solo il popolo delle donne a ribellarsi ma anche le loro famiglie, per questo voglio parlarvi della violenza ostetrica in sala parto come per altro anche citata dalla recente risoluzione del Consiglio d’Europa».
«Infatti ancora oggi le donne nel momento più bello e delicato della loro vita, cioè il parto, devono subire da parte di ginecologi ed ostetriche delle spinte pericolose sul proprio corpo per poter vedere nascere il proprio figlio. Questo metodo barbarico è utilizzato nei paesi del terzo mondo che non possono godere di una assistenza sicura. Noi in Italia spendiamo 120 milioni di euro annui ma il Ministero della Salute per motivi di spesa ci ha sempre più ridotto l’uso del taglio cesareo che sarebbe necessario ad evitare queste barbariche pratiche e non abbiamo ancora inserito nelle sale parto dispositivi medici che incrementino la sicurezza alla nascita con il risultato che nelle sale parto si continua ad usare queste pericolose spinte. Purtroppo sono mantenuti errori di segnalazione dell’uso di queste spinte con la conseguenza che non può essere associato il danno provocato lasciando le famiglie impossibilitate anche ad avere giustizia in sede di tribunale per mancanza della prova. Mi spiego meglio: se una ostetrica o ginecologo insistono nel fare il parto naturale ed usano questa manovra perché la donna non ce la fa ad espellere il bambino e se il bambino nasce con danni cerebrali per lo schiacciamento del cervello del neonato o la mamma muore per emorragia conseguente alle rotture di utero non sarà mai possibile risalire alle responsabilità dell’ospedale o dell’ostetrica o del ginecologo colpevole di aver usato questa barbara pratica».
«Questa drammatica situazione dura da sempre. Ogni ministro della salute di ogni governo che si avvicenda in questo “civilissimo paese” ha ben presente il problema della mancanza di sicurezza in sala parto ma non agisce nessuno con la conseguenza che il tanto decantato parto naturale fisiologico è paragonato come rischi alla rianimazione e all’ortopedia cioè alle aree a maggior rischio di danni e sinistri obbligando sia strutture sanitarie che ginecologi ed ostetriche a pagare un massimale assicurativo doppio rispetto alle altre aree sanitarie: le nostre mamme poi non ricevono nemmeno il consenso informato per il suo uso quindi vi sono gravissime mancanze di informazione alle donne il cui uso viene negato dalle nostre istituzioni che solitamente addossano le colpe del danno allo stato di gravidanza della donna e non alle mancanze di sicurezza della sala parto».
«Il problema è cosi grande in tutti i paesi europei che il Consiglio d’Europa ad ottobre 2019 ha addirittura approvato una risoluzione per denunciare queste pericolose manovre come forma di violenza ostetrica: in un continente ed in un paese civile innanzitutto si dovrebbe evitare di esporre a questi rischi le donne e i neonati. Se l’articolo 1 della legge 24 Gelli cita al punto 1 che “La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività” vuol dire che non solo le donne avrebbero diritto a prestazioni sicure ma soprattutto sancisce che la sicurezza, anche della nascita, è un dovere delle nostre istituzioni. Quindi risulta necessario ridisegnare il confine di chi deve garantire un dovere e di chi deve avere garantito un diritto. Ecco perchè parlare di violenza delle donne e di violenza ostetrica nelle sale parto pubbliche può generare una deresponsabilizzazione delle istituzioni».
«In Italia – conclude Belli – a cosa sono serviti decenni di lotte, di miliardi di euro versati per far garantire agli italiani prestazioni pubbliche e sicure se poi nei nostri ospedali siamo trattati come nei paesi del terzo mondo? Non dobbiamo rischiare che la globalizzazione alimenti una crisi di diritti. Si tratta di una vera e propria crisi di valori e quindi anche di identità a maggior ragione che il nostro paese è oramai uno dei paesi più vecchi del mondo e a minor tasso di natalità per cui come italiani dobbiamo difenderci da una globalizzazione che sta spazzando via non solo i nostri diritti ma soprattutto i doveri di cittadinanza delle istituzioni che noi paghiamo con il 50% delle nostre tasse. Per cui dobbiamo invitare le donne a chiedere prima di tutto che le istituzioni adempiano ai propri doveri».