«Con il Patto per la salute si avrà una nuova stagione di programmazione sanitaria. I due miliardi di quest’anno e quelli del prossimo anno segnano un aumento e un rifinanziamento del fondo. A questo si aggiungono le 1200 borse di specializzazione in più e l’aumento del contratto». Così la deputata PD a margine di un evento della Fondazione Italia in Salute al Senato
La Fondazione Italia in Salute è nata solo un anno fa per rafforzare la tutela del diritto alla salute e la cultura della prevenzione. È presieduta da Federico Gelli, medico specializzato in sanità pubblica e relatore della Legge 24/2017 sui temi della sicurezza delle cure e della responsabilità professionale in sanità, nella XVII Legislatura.
Un primo bilancio sulle attività della Fondazione, con un focus specifico sul fronte delle linee guida in sanità, è stato fatto ieri nel corso del convegno “Il ruolo delle linee guida: dalla pratica clinica alle aule giudiziarie” che si è svolto nella splendida Sala Capitolare del Senato della Repubblica a Roma. All’evento è intervenuto, tra gli altri, l’ex ministro della Salute Beatrice Lorenzin. Ora deputata del Partito Democratico, è anche membro della Commissione Bilancio della Camera dei Deputati. Ai nostri microfoni, esprime tutta la sua soddisfazione per la manovra 2020 e per l’approvazione del Patto per la salute.
La Legge 24 del 2017 attribuisce particolare rilevanza alla formazione e all’aggiornamento professionale per prevenire il rischio clinico e tutelarsi in caso di contenzioso medico legale.
«La formazione è uno degli aspetti importanti di questa legge che da un lato ridisciplina tutto il concetto di colpa e, dall’altro, cerca di eliminare il rischio clinico che è uno degli aspetti più costosi per il SSN. Si presume, infatti, che ci siano circa 13 miliardi di spese inappropriate che vengono fatte dai medici e dagli operatori per paura di incorrere in denunce e avere una certificazione del proprio operato. È ovvio che la formazione del medico e delle strutture rispetto al rischio clinico è importante: rispetto alla metodologia da applicare, le linee guida, il modo in cui potersi approcciare in modo migliore al paziente. Ma anche per la struttura fare un lavoro di risk management significa dotarsi di procedure interne che riducano nettamente le denunce e casi di mala gestio. Abbiamo visto che le strutture ospedaliere che hanno applicato una linea di risk management forte hanno ridotto, in alcuni casi, a zero le denunce».
Lei ha parlato anche della manovra di bilancio: in merito alle borse di specializzazione, siete soddisfatti di ciò che è stato fatto?
«Quest’anno per quanto riguarda la manovra dal punto di vista sanitario, siamo molto soddisfatti. Abbiamo avuto anche l’approvazione del Patto per la salute: è una notizia importante perché si avrà una nuova stagione di programmazione sanitaria. I due miliardi di quest’anno e quelli del prossimo anno segnano un aumento e un rifinanziamento del fondo. Noi dobbiamo arrivare, a mio parere, anche a un incremento maggiore, ma questo è stato un anno straordinario, abbiamo più di 500 milioni sul superticket e altri due miliardi sugli articoli 11: ristrutturazione e realizzazione di nuove strutture ospedaliere. A questo si aggiungono le risorse per 1200 borse specializzazione in più. Sappiamo tutti che la carenza medici è causata dall’imbuto formativo, quel gap che c’è tra i laureati in medicina e gli anni trascorsi prima della specializzazione. Da questo punto di vista, dobbiamo lavorare ancora insieme alle regioni per aumentare ulteriormente le borse e per sbloccare il turnover in sanità, un grande errore degli anni passati. L’aumento del contratto dei medici dopo 10-12 anni è un fatto importante fatto anche per cercare di scongiurare la fuga verso i Paesi in cui i nostri operatori vengono pagati di più. Per medici e ricercatori, infatti, dobbiamo guardare in faccia la realtà: gli altri Paesi offrono ai nostri medici quasi il doppio, il triplo dello stipendio più benefit di varia natura. Noi rischiamo di perdere il capitale umano più importante che abbiamo che non solo si prende cura di noi ma abbiamo formato spendendo 400-500mila euro per persona. Li perdiamo anche dal punto di vista demografico perché si costruiscono una famiglia all’estero. L’Italia deve decidere qual è la sua strategia: se perdiamo i migliori, noi perdiamo le nostre élite culturali, le persone su cui costruire produzione, innovazione, ricchezza e salute e il Paese si impoverisce sempre di più».