Intervista al segretario provinciale FIMMG Napoli, Luigi Sparano: «Le Aggregazioni Funzionali Territoriali consentiranno una maggiore efficienza nella presa in carica e un abbattimento dei costi derivanti dalle ospedalizzazioni inappropriate»
Una vera e propria rivoluzione per l’assistenza territoriale in Campania, quella messa in campo dall’accordo regionale integrativo per la medicina generale siglato in Regione dalle associazioni sindacali di categoria. Le AFT, Aggregazioni Funzionali Territoriali, dopo una fase sperimentale diventano finalmente una realtà consentendo da un lato una presa in carico dei pazienti continua ed efficiente, dall’altro una grande riduzione dei costi favorendo la deospedalizzazione e l’appropriatezza diagnostica e terapeutica. Come? Attraverso una messa a sistema delle informazioni, una riorganizzazione delle reti territoriali, la possibilità di diagnosi di primo livello e la presenza di collaboratori e infermieri. Ce lo spiega nel dettaglio il segretario provinciale FIMMG Napoli, Luigi Sparano.
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Dottore, qual era la situazione di partenza della medicina generale sul territorio?
«Partivamo da un modello assistenziale fondato su forme associative di gruppo e di rete rivolte al 60% dell’utenza. Medici già organizzati che condividono studio e attività garantendo l’assistenza fino alle 19. Il modello “gruppo” riguarda il 10% del popolazione. L’altro 50% è organizzato secondo un sistema di condivisione delle cartelle cliniche, una rete di comunicazione. Il restante 40% dei medici di medicina generale non prevedeva invece alcun modello organizzativo. La novità oggi sta nel fatto che il modello organizzativo coinvolge tutti i medici della Campania, che confluiscono nelle cosiddette Aggregazioni Funzionali Territoriali. Le AFT consistono in organizzazioni di almeno 20 studi medici (che assistono una popolazione intorno ai 25mila abitanti). In tutta la Campania ci saranno 181 AFT. I medici condividono la stessa rete di comunicazione per la condivisione delle cartelle cliniche e ciò consente a un cittadino iscritto con un medico dell’aggregazione di potersi rivolgere, se il suo medico ha terminato l’orario di studio, a un altro medico che è già in possesso della sua cartella clinica, conosce la sua anamnesi, i farmaci in uso ed eventuali terapie già praticate, effetti collaterali ai farmaci ecc… Tutto questo non facendo mai venir meno, e anzi rafforzandolo, il rapporto fiduciario medico-paziente che è una pietra fondante della nostra branca. Il cittadino saprà infatti di trovarsi con un altro medico che, oltre a conoscere la sua storia clinica, condivide gli stessi metodi e procedimenti del proprio».
Quale altra importante novità prevede l’accordo?
«Dobbiamo immaginare una vera e propria rete integrata di presa in carico delle patologie croniche, aderenti a un modello di adozione di PDT (Percorsi Diagnostici e Terapeutici) già licenziati in Regione Campania, il primo dei quali è quello inerente alle patologie respiratorie. Questo modello prevede che i medici di famiglia, per gli assistiti facenti capo alla loro aggregazione, potranno svolgere attività diagnostica, come ad esempio la spirometria. Laddove il paziente necessiterà di un approfondimento diagnostico sarà indirizzato direttamente ai reparti ospedalieri di Pneumologia, con una prenotazione effettuata dallo stesso studio medico, attraverso una piattaforma collegata. Questo modello di presa in carico si sta estendendo ai PDT di tutte le altre patologie, come quelle cardiovascolari, quindi attraverso la diagnostica elettrocardiografica, ma anche tutta la parte ecografica, di prelievi e di screening. Questo è un esempio concreto di presa in carico totale della persona, dal momento che per questi esami il cittadino non pagherà nulla ed è anche un modo per impedire le complicanze derivanti dalla mancata o scarsa aderenza terapeutica nel caso delle malattie croniche. Se prendiamo ad esempio le patologie respiratorie, gli effetti di una mancata spirometria e di una conseguente terapia sfociano spesso in ricoveri d’urgenza e in terapie inappropriate. Viceversa, è bene ricordare che la slow medicine, e cioè il non prescrivere immediatamente un esame, potersi porre in una cosiddetta “vigile attesa” rispetto ad alcuni disturbi, è praticabile dal momento che possiamo rivedere il paziente a distanza di pochi giorni, se non di poche ore. Anche questo contribuisce ad abbattere i costi, evitando indagini, prescrizioni ed ospedalizzazioni inutili».
Parliamo delle risorse in termini di personale, in che misura aumenteranno?
«Questo modello comporterà un incremento delle risorse fondamentali del medico di famiglia, vale a dire i collaboratori. Oggi il 50% dei medici si avvale di un collaboratore di studio, la sfida di questo accordo consiste nell’ottenere entro un triennio rimborsi per arrivare al 100%. Questo aumenterà significativamente la capacità di intercettare l’utenza, anche sulla cosiddetta medicina d’iniziativa, come gli screening e le campagne di prevenzione, che i medici da soli non riescono a sostenere in pieno. Contiamo di avere inoltre, per un’aggregazione di 20 studi, almeno tre infermieri che possano affiancare i medici e i collaboratori. Per ogni aggregazione ci sarà poi un coordinatore (un medico di medicina generale facente parte della stessa aggregazione) con il compito di monitorare l’andamento delle attività circa i risultati di salute raggiunti sulla popolazione assistita».