GUARDA IL VIDEO | Un sistema che assicura ottimi risultati ma che non è più attrattivo per i medici, che scappano all’estero o si rifugiano nella medicina generale. Dal Sasso (Cimo Veneto): «Ci sarà un motivo se ad un concorso per 10 posti di postino si presentano 20mila candidati e per 80 posti di medici di pronto soccorso se ne presentano solo tre…»
Venezia ci ha accolto con l’acqua alta, ma quel che è certo è che la sanità veneta non è in alto mare. E non potevamo non dedicare una puntata del reportage #DestinazioneSanità a questa Regione, che vanta il sistema sanitario migliore d’Italia. Almeno secondo le numerose classifiche e statistiche che periodicamente vengono pubblicate.
«Quella veneta è un’ottima sanità, con una buona organizzazione a livello territoriale ed un’ospedalità che funziona molto bene», commenta il presidente della Federazione CIMO-Fesmed Guido Quici, che sottolinea anche «un finanziamento quasi in linea alla media nazionale, a differenza di altre Regioni che hanno potuto raggiungere risultati simili ma spendendo molte più risorse».
In che modo? «La parola d’ordine è appropriatezza», spiega Giuseppe Dal Ben, direttore generale dell’Ulss 3 Serenissima: «Cerchiamo di essere molto attenti a cogliere i bisogni che emergono da parte delle persone e vogliamo fare le cose che servono nel modo giusto e nel tempo giusto».
Risultati che rendono il Veneto una regione attrattiva anche per i pazienti del resto d’Italia. «Il sistema sanitario veneto è riconosciuto come un ente che eroga una sanità e un’assistenza di eccellenza, e questo è vero – aggiunge Luigi Dal Sasso, ex segretario di CIMO Veneto -. Eppure, anche in questa Regione la categoria medica vive forti disagi».
«Per ottenere questi ottimi risultati – spiega il segretario di CIMO Veneto Giovanni Leoni – i medici sono costretti a fare molte più ore di straordinario. Da circa un anno, infatti, sappiamo che in Veneto mancano 1300 medici. E non sono numeri che ci siamo inventati, ma dati che ha certificato la Regione stessa rispondendo alle richieste della CIMO. Ma poiché i turni di servizio devono essere coperti, i medici lavorano di più, pur sapendo che, se si superano le 250 ore l’anno, gli straordinari non vengono pagati».
Ma oltre a lavorare di più spesso, i medici sono costretti anche ad assumersi carichi di responsabilità importanti che mettono a rischio la loro sicurezza e, soprattutto, quella dei pazienti. Come nel caso dei reparti internistici di Rovigo, dove «dal novembre 2015 c’è solo un medico di guardia che deve badare a 120-140 posti letto», racconta Francesco Chiavilli, segretario CIMO Azienda Ulss 5 Rovigo.
Per far fronte alla carenza, la Regione e le direzioni ospedaliere hanno messo in campo le strategie più diverse e fantasiose: dalla famosa ‘Delibera di Ferragosto’, che prevede l’assunzione di 500 neolaureati nei pronto soccorso che è stata accolta da reazioni contrastanti, al ricorso ai contratti libero-professionali fino ad arrivare a richiamare in servizio i medici in pensione ottenendo da parte loro, come conferma Dal Ben, anche «una bella risposta, segno dell’attenzione alla professione e dell’attaccamento all’azienda»; a Rovigo, invece, dalla scorsa estate la gestione del 118 è stata affidata ad un cooperativa di medici «alcuni dei quali non sono specialisti ma lavorano in pronto soccorso e nei reparti internistici dopo aver frequentato un corso di 92 ore e affiancato uno specialista per due mesi – spiega Chiavilli -. Ma se una specialità richiede una formazione di 4-5 anni, mi viene difficile pensare che questi professionisti siano pronti. Inoltre alcuni sono anche stranieri, quindi si aggiungono anche difficoltà interpretative in un ambiente di lavoro dove pochi secondi possono fare la differenza tra la vita e la morte».
Turni massacranti, rischi professionali e condizioni di lavoro insostenibili che provocano la fuga di giovani e ospedalieri dalla professione e dal Paese: «Ci sarà un motivo se ad un concorso per 10 posti di postino si presentano 20mila candidati e per 80 posti di medici di pronto soccorso se ne presentano solo tre», chiede ironico Dal Sasso.
«I medici ci sono, e prova ne è il fatto che il nostro Ordine sta crescendo in modo esponenziale – commenta Michele Valente, presidente dell’Ordine dei Medici di Vicenza -. Il problema è che non vogliono lavorare in questa Regione e preferiscono andarsene all’estero. D’altra parte – prosegue – siamo anche in una posizione felice, considerando che in un’ora e un quarto siamo a Berlino, in soli 50 minuti in Svizzera e a Vienna e gli stipendi che vengono loro offerti sono da capogiro: per il primo mese di lavoro in Germania guadagnano 4500 euro, in Danimarca si arriva agli 8mila euro e in Finlandia addirittura a 11mila euro».
E poi c’è il fenomeno che Giovanni Leoni ha definito con successo ‘autodimissioni degli ospedalieri’: «In Veneto – racconta Leoni – i medici che hanno più di 50 anni, e che quindi si sono laureati prima del 1994 (considerati medici equipollenti che possono quindi esercitare la Medicina Generale anche senza aver frequentato il corso di formazione, ndr) si dimettono dai pronto soccorso o dalle chirurgie e presentano la domanda per la graduatoria di medicina generale. Rinunciano anche al ruolo di primario, pur di lavorare sul territorio e avere la possibilità di dormire di notte o essere a riposo il fine settimana».
Una situazione che rispecchia le condizioni di lavoro di tanti medici e professionisti sanitari in ogni parte d’Italia. Eppure «basterebbe che i nostri contratti venissero applicati, per eliminare tanti motivi di insoddisfazione che poi creano frustrazione nei professionisti», pensa Dal Sasso.
«Dobbiamo essere più rigorosi soprattutto nei confronti dei colleghi che lavorano nell’emergenza-urgenza, perché chi è più coinvolto in attività notturne e festive deve essere tutelato – aggiunge Leoni -. E poi c’è il grande tema della pronta disponibilità, che il nuovo contratto ha esteso anche al pomeriggio. Reperibilità che è pagata un euro l’ora. Vuol dire che 12 ore di reperibilità fanno guadagnare al medico 12 euro. E non so se avete idea cosa significhi essere reperibili. Significa avere sempre con sé uno o due telefoni ed essere pronti per una consulenza urgente, un intervento chirurgico o un trasporto nel minor tempo possibile. Significa condurre una vita molto vincolata e limitata, scelta da persone particolarmente motivate».
Ma oltre ad una maggiore attenzione a quanto previsto dai contratti e allo stile di vita di chi lavora nel pubblico, secondo CIMO si dovrebbe intervenire anche a livello strutturale: «Andrebbe ridotta la polverizzazione dei servizi ospedalieri – è l’opinione di Luigi Dal Sasso -. Questo non significa voler chiudere gli ospedali, ma non è razionale avere in ogni ospedale tutta l’attività clinica e chirurgica che c’è adesso e che causa dispersione del personale, cattiva organizzazione e liste di attesa. Ovunque servirebbero i servizi necessari alle attività di tutti i giorni, come gli ambulatori, la radiologia di base, il punto prelievi, invece bisogna tenere aperto un servizio polverizzato. Altrimenti – conclude Dal Sasso – i sindaci si lamentano e le frequenti tornate elettorali poi fanno pagare il conto…».
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SANITÀ INFORMAZIONE PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO