Chi è in Uk da pochissimo, chi ci ha portato la famiglia, chi ha deciso di tornare. In un clima di ‘vigile attesa’, abbiamo raccolto testimonianze, preoccupazioni, previsioni
Alla fine, questa Brexit s’ha da fare. Oggi, 31 gennaio 2020, a due giorni dal voto formale dell’Europarlamento, il Regno Unito esce ufficialmente dall’Unione Europea. Negli ultimi tre anni e mezzo, da quel fatidico referendum del 23 giugno 2016 indetto dall’allora premier David Cameron in cui il Sì al “divorzio” dall’Ue vinse sul No, protagonisti della scena un turbinio di negoziati, accordi bocciati, trattative, slittamenti e dimissioni bollenti, tra cui quella della premier conservatrice Theresa May che ha lasciato il posto, lo scorso luglio, al compagno di partito Boris Johnson. Eppure, dal 2016 ad oggi, tanti italiani hanno continuato a inseguire i loro sogni di carriera nel Regno Unito, e tanti, residenti lì da ben prima del referendum, hanno iniziato a chiedersi “cosa ne sarebbe stato di loro” una volta compiuto il processo di transizione. Molti italiani nel Regno Unito operano proprio nel sistema sanitario, ed è a loro che Sanità Informazione ha voluto chiedere chiarimenti sull’aria che tira (e sulle loro esperienze) in vista dell’uscita definitiva dall’Unione Europea.
Fabrizio De Rita è un giovane cardiochirurgo pediatrico bresciano che si trova in Inghilterra da gennaio 2016 ed ha attualmente un contratto permanente al Freeman Hospital di Newcastle. «Siamo sicuramente davanti a un’epoca di cambiamento sostanziale – dice – e credo che in queste circostanze sia normale qualche preoccupazione ed incertezza. La nostra categoria professionale non credo sarà toccata, però, da questo cambiamento. La percentuale di medici italiani nel Regno Unito è altissima, ed è ormai parte integrante della sanità di questo Paese. Direi che soprattutto chi ha un contratto permanente e risiede qui da almeno cinque anni, una volta aggiornato il proprio settlement abbia motivo di essere tranquillo. Mentre per chi intende ora affacciarsi a una vita qui, le cose immagino che saranno un po’ più complicate, almeno dal punto di vista burocratico». Fabrizio è ormai fortemente radicato nel Regno Unito, vive lì con sua moglie, anche lei italiana e anche lei inserita nel comparto sanitario inglese in qualità di infermiera. «Le preoccupazioni e le incertezze che abbiamo – rivela – non riguardano il nostro settore professionale, ma le ripercussioni che la Brexit potrebbe avere sulla nostra vita quotidiana. Dal costo della vita, a causa della probabile svalutazione della sterlina, all’acquisto di immobili che potrebbe non essere vantaggioso in caso di crisi finanziaria, o anche condizioni economiche svantaggiose nell’acquisto di beni o materiali provenienti dall’estero».
Gaia Viganò, trentacinquenne cardiochirurgo di Genova, anche lei in servizio presso il Freeman Hospital di Newcastle, ha un contratto a tempo determinato rinnovabile come Trust Fellow in Cardiochirurgia Congenita. Si trova nel Regno Unito da luglio 2019 e la sua è una storia di partenze e ritorni, con tante pagine ancora da scrivere: «Finita la specializzazione a Genova – racconta – ho lavorato per due anni in Irlanda. Sono poi rientrata per un anno in Italia, ma non è stata un’esperienza positiva e così ho fatto ritorno in Irlanda, dove sono stata per altri sei mesi per poi approdare qui, in Inghilterra». Quanto spaventa i giovani medici la Brexit? «Per ora la situazione è tranquilla – spiega – nel senso che non si sa ancora molto, se non che fino a gennaio 2021 (quindi da qui a un anno) nulla dovrebbe cambiare nella pratica, e che questo vale per tutti, non solo per noi del settore sanitario. Dopo di allora, ci è giunta voce riguardo a questa sorta di application che dovremo compilare per ottenere un permesso temporaneo o semipermanente. Ad ogni modo, sapendo che per un anno ancora non ci saranno cambiamenti, non c’è una corsa alle informazioni né si vive la situazione con ansia. So per certo – aggiunge – che nessuno di noi medici italiani è stato contattato dall’ospedale o dall’AIRE o da qualsiasi altra istituzione per comunicazioni in merito. La situazione è ancora tutta in divenire». Gaia ci confessa una grande gratitudine verso il paese che la ospita, ma anche una forte nostalgia per il suo paese natale: «In Inghilterra mi trovo benissimo – afferma – perchè le opportunità di formazione e crescita professionale, ma anche di stipendio, soprattutto per la categoria dei chirurghi, non sono assolutamente paragonabili a quelle italiane. Anche perché qui c’è una grande carenza di medici inglesi per cui, per così dire, i rinforzi che arrivano dall’estero vengono accolti con tutti gli onori. Eppure, nonostante la mia esperienza professionale qui in Inghilterra sia stata e continui ad essere estremamente soddisfacente, sento fortissimo il richiamo delle mie radici: il mio desiderio è, prima o poi, fare ritorno in Italia».
LEGGI ANCHE: BREXIT, RAPPORTO NATIONAL AUDIT OFFICE METTE IN GUARDIA: FORNITURA MEDICINALI A RISCHIO CON NO DEAL
Guido Coretti, napoletano, specializzato in Chirurgia Generale, per un anno e mezzo in Inghilterra in servizio presso il King’s College Hospital di Londra e da poco rientrato in Italia, ci rivela di essere molto ottimista sulle sorti dei suoi colleghi emigrati in Uk. «Sono praticamente certo – dichiara – che non ci sarà nessuna conseguenza relativa alla Brexit che possa preoccupare i medici rimasti nel Regno Unito. Il perché è semplice: il sistema sanitario inglese risente di una carenza enorme di personale, motivo per cui lo stesso sistema sanitario si regge sempre più sulla presenza di medici stranieri, in larga parte italiani». Guido ha le idee molto chiare: «Penalizzare proprio questa categoria, anche in modo indiretto, come conseguenza dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europeo, sarebbe autolesionistico».
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SANITÀ INFORMAZIONE PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO