L’equipe del Direttore di Medicina Molecolare dell’Università di Padova ha messo a punto un test molecolare ad elevata sensibilità: «Evidenzia la presenza del materiale genetico nel virus con altissima specificità». Sul precariato nella ricerca sottolinea: «In GB precari fino a 40-45 anni. Il problema è fare carriera senza appoggi»
L’Italia ancora all’avanguardia nella ricerca sul coronavirus. Dopo l’annuncio delle ricercatrici dello Spallanzani di Roma sull’isolamento del coronavirus cinese, da Padova arriva un test per sapere in meno di tre ore se una persona è infetta o no. Il lavoro è stato realizzato dal team guidato dal professor Andrea Crisanti, Direttore del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova. Il test è stato sviluppato nel giro di pochi giorni anche se in realtà l’equipe era al lavoro già dalle prime notizie sull’epidemia di polmonite che si stava sviluppando in Cina.
«Già tre settimane fa, prima che scoppiasse questo allarme, avevamo allertato l’azienda su questa problematica, cioè che c’erano infezioni in Cina di natura sconosciuta probabilmente create da un nuovo virus – spiega Crisanti a Sanità Informazione -. Appena uscita la prima sequenza abbiamo immediatamente progettato un saggio diagnostico. Quando questa situazione è arrivata all’attenzione dei media eravamo già preparati. Siamo riusciti rapidamente a mettere in piedi il saggio secondo le direttive dell’OMS anche aggiornandolo alla luce delle altre evidenze di carattere molecolare che sono via via emerse».
«Questo è un saggio molecolare che evidenzia la presenza del materiale genetico nel virus con altissima specificità – aggiunge Crisanti -. Distingue tutti i coronavirus e allo stesso tempo ha una elevata sensibilità perché riusciamo ad identificare fino a cinque copie virali».
La velocità nella diagnosi può rappresentare una svolta importante nel contrasto al virus che in Cina ha già ucciso oltre 400 persone. «La rapidità nel test è fondamentale per due ragioni – continua Crisanti -. Nel caso incominciassero dei casi in Italia o nella nostra regione noi dobbiamo predisporre un sistema in cui vengano rapidamente identificati i casi positivi e scartati quelli negativi in modo da diminuire quanto più possibile l’affollamento nei Pronto soccorso e razionalizzare tutto il processo di ricovero e trattamento. Se non si ha a disposizione un saggio rapido si è costretti a tenere persone uno o due giorni in ospedale che magari non hanno nulla, dirottando risorse e spazi verso persone che non ne hanno bisogno. Il secondo aspetto è quello di identificare i portatori, quindi un saggio ad alta sensibilità aiuta: durante lo stato di portatore la carica virale è più bassa ed è possibile fare prevenzione attiva, cioè isolando i portatori che in futuro potrebbero ammalarsi».
Al momento da Ministero e Istituto Superiore di Sanità non sono state richieste delucidazioni al professor Crisanti. Ma lui conferma la bontà del test: «Abbiamo realizzato questo saggio secondo le direttive dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Siccome sono tutti saggi fatti in casa, a seconda delle capacità e dei centri di ricerca, un po’ variano l’uno dall’altro, il nostro ha una sensibilità e specificità elevata. Penso che difficilmente un saggio molecolare possa produrre risultati così sensibili in un tempo così rapido. Solo noi e lo Spallanzani per adesso facciamo questo test. Noi siamo stati identificati come centro di riferimento regionale del Veneto. Chiaramente l’idea è quella di trasferire queste conoscenze e capacità ad altri centri».
Crisanti è arrivato da poco a Padova dall’Imperial College di Londra. Lo scorso ottobre ha sostituito Giorgio Palù, presidente della Società Europea di Virologia ora in pensione, ed è stato uno dei primi al mondo ad aver utilizzato la tecnica del “gene drive” per eliminare la trasmissione della malaria nei vettori responsabili di questa malattia. Vanta anche una pagina Wikipedia in inglese. Sulla polemica che si è innescata sul precariato nel mondo della ricerca, la sua è una voce controcorrente.
«Il problema non è il precariato: io vengo da 25 anni di esperienza in Inghilterra e le assicuro che lì è pieno di precari fino a 40-45 anni. Il problema è: in Italia può un precario con le sue forze diventare indipendente e poi fare carriera senza appoggi esterni?». Secondo Crisanti è fondamentale che i ricercatori continuino a praticare ricerca senza il mito del posto fisso: «La mobilità nella ricerca è fondamentale, altrimenti il ricercatore rimane incrostato in una singola struttura e non progredisce mai. La polemica sul precariato la trovo strumentale e dannosa per la ricerca. Non so se un ricercatore guadagna troppo poco ma di certo questo vittimismo non va bene, non piangiamoci addosso. Il sistema di ricerca è legato a questi giovani che hanno voglia di andare avanti e che devono sfruttare la loro creatività non per sedersi e cercare un posto permanente e statale ma per trovare nuove sfide».
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