Il chirurgo fetale Nicola Persico: «Tecnica endoscopica appresa in Brasile che prevede riparazione del difetto del canale vertebrale in sede con meno rischi per il feto e la madre»
Sono sei i bambini fino ad oggi operati alla spina bifida alla clinica Mangiagalli del Policlinico di Milano con una tecnica endoscopica prima in Europa, e tra le poche al mondo, che permette di operare all’interno dell’utero materno tra le 24 e le 28 settimane il feto che presenti la chiusura incompleta di una o più vertebre. Una tecnica che il professor Nicola Persico e la sua equipe di chirurgia fetale hanno appreso in Brasile dalla professoressa Denise Lapa Pedreira e portato in Italia per la prima volta nel giugno 2018.
Professor Persico, in che cosa consiste questa nuova tecnica?
«Invece di aprire l’utero della madre con una classica incisione, per poi esporre il difetto vertebrale del bambino a cielo aperto e chiudere il difetto in maniera classica, questa tecnica prevede un accesso all’interno dell’utero con strumenti di piccoli millimetri, come si fa in genere per la laparoscopia, quindi stiamo parlando di una tecnica endoscopica».
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Perché è stata fatta questa scelta?
«Il motivo per cui abbiamo deciso di sposare questo tipo di approccio è per ridurre il più possibile il rischio della procedura soprattutto sul versante materno perché esistono ormai dei dati abbastanza chiari che parlano di problemi importanti in successive gravidanze dopo aver fatto un’operazione classica di apertura a cielo aperto dell’utero per curare la spina bifida. In pratica questa tecnica prevede una riparazione del difetto facendo un lavoro di liberazione dei nervi dalla pelle circostante, a livello della schiena. Si utilizza un materiale, che è una specie di piccola toppa di biocellulosa, che serve a ricreare la chiusura del canale vertebrale, quindi viene ricreata una delle meningi per evitare perdita e sgocciolamento di liquor e poi una sutura chiude il difetto. È un intervento in anestesia generale materna che permette anche di addormentare il feto, perché il bambino deve essere immobile, quindi prevede lo svuotamento della cavità dal liquido amniotico per gonfiare la cavità con il CO2, che è il gas che viene utilizzato anche per le laparoscopie e poi, lavorando in questi spazi stretti, si crea la chiusura del difetto».
Che aspettative di vita ha il bambino operato con questa tecnica?
«I dati ci dicono che questa tecnica endoscopica dà beneficio soprattutto nella deambulazione, quindi l’obiettivo è vedere camminare questi bambini in maniera autonoma e di avere anche una continenza urinaria».
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