Le voci dal sit-in al “San Camillo” di Roma: «Non bastano i provvedimenti in Stabilità». Forti preoccupazioni per il conflitto Stato-Regioni e intanto le azioni legali toccano quota 5mila
Le contromosse del governo allo sciopero non hanno convinto i medici. La violazione della direttiva Ue 2003/88 sull’orario di lavoro è già finita nelle aule dei Tribunali con migliaia di ricorsi raccolti e centinaia di cause iscritte a ruolo. La protesta proseguirà ancora su due binari: quello giuridico e quello sindacale. A gennaio si tornerà in piazza e l’idea è quella di far la voce ancora più grossa con braccia incrociate per 48 ore. Lo conferma il segretario della FIMMG, il sindacato dei medici di famiglia, Giacomo Milillo: «Lo sciopero di gennaio è assolutamente confermato, perché non abbiamo ricevuto risposta. E non possiamo considerare risposte provvedimenti spot che in un sistema estremamente complesso, finiscono solo per squilibrarlo. Qui è necessario assolutamente un progetto di modifica strutturale del Servizio sanitario nazionale, anche per quanto riguarda il sistema dei finanziamenti e soprattutto una correzione del gravissimo difetto che è alla base – secondo me è la causa principale del dissesto – , ovvero il conflitto fra Stato e Regioni».
Proprio riguardo l’atteggiamento delle Regioni, è forte la preoccupazione dell’intero fronte sindacale. «Non possiamo accontentarci delle soluzioni messe in campo dal governo – commenta Riccardo Cassi, il presidente di Cimo, sindacato di riferimento dei medici ospedalieri – soprattutto per il peso che avranno le Regioni ed in considerazione di come hanno affrontato in passato le principali problematiche in ambito sanitario. Riconosciamo nell’azione del Ministero della Salute diversi passi in avanti, come aver inserito nel concorso il personale primario, escluso dal precedente Dpcm (Decreto del Presidente del Consiglio, ndr).
È un buon segnale, ma non basta a fermare la protesta». Sulla stessa lunghezza d’onda Corrado Bibbolino, Segretario nazionale di SNR Fassid, sigla che raduna radiologi, laboratoristi, medici del territorio e anche psicologi e farmacisti: «Il tema non è quello che vuole fare il governo, ma quello che possono e vogliono garantire le Regioni. Ancora una volta stanno muovendosi contro l’autonomia dei medici anche nell’ambito radiologico. Noi crediamo che ci sia spazio per una posizione della sanità pubblica che sia di recupero della fiducia e del dialogo con i cittadini e con tutte le forze politiche. Ma non possiamo essere né strumento né bancomat delle lotte fra partiti o fra politici».
La mobilitazione prima e quindi lo sciopero generale della scorsa settimana, hanno aperto il vaso di Pandora della sanità. Durante il sit-in al San Camillo, ad esempio, la Fesmed ha affrontato il tema della responsabilità professionale, tra le principali fonti di preoccupazione dei ginecologi e dei chirurghi che rappresenta: «Siamo ancora in attesa di una legge equa sulla responsabilità professionale – afferma il presidente di Fesmed, Carmine Gigli – e noi siamo stanchi di pagare il conto per tutti quelli che sono scontenti delle cure ricevute. Vorremmo che ci fosse, invece, una normativa che tuteli anche i medici».
Al centro della protesta comunque il caso degli orari di lavoro, testimoniato soprattutto dai numerosi camici bianchi che hanno affiancato i sindacalisti durante il sit-in. Roberto Bonfili, coordinatore nazionale UIL FPL medici, ha manifestato proprio davanti alla struttura in cui lavora: «Serve un rinnovamento generazionale della classe medica. Io sono tra i più giovani del mio ospedale (oltre i 50 anni, ndr), il San Camillo, è questo fa chiaramente capire quanto ormai la classe medica sia avanti con gli anni e ha bisogno di nuova linfa. Quindi nuove assunzioni assolutamente. La maggior parte dei nostri colleghi ormai ha superato i 60 anni ed ha difficoltà oggettive a coprire i turni di notte in maniera così pressante, come dobbiamo fare attualmente nonostante l’entrata in vigore della Legge 161 promulgata per dare attuazione alla direttive Ue 2003/88».
«In realtà – interviene Gianmarco Polselli, Segretario Lazio dello Smi (Sindacato Medici Italiani) – se non si immette altro personale non sarà mai possibile rispettare la normativa europea. Per cui, bisognerà investire nel settore, altrimenti si dovranno interrompere gli interventi chirurgici e i turni senza poter garantire le prestazioni con conseguente allungamento delle liste d’attesa». Mentre si sciopera, numerosi medici considerano il passaggio alle vie legali un fattore determinante per ottenere i diritti negati, ma anche per far da pungolo alle istituzioni: «I ricorsi rappresentano una soluzione che purtroppo è stata scelta nel momento in cui non c’è una risposta di sistema, una risposta politica», fa notare proprio Polselli». Milillo (FIMMG), invece, confessa: « di non esser molto entusiasta delle azioni legali però – aggiunge – devo constatare che sempre più spesso siamo costretti a intraprendere questa strada».
Ed effettivamente sale il numero di contenziosi aperti, ora anche sul fronte del mancato rispetto della normativa Ue sugli orari di lavoro. La conferma arriva anche da Consulcesi Group, che con i suoi legali ha già avviato oltre 5mila ricorsi e soprattutto ha già portato il problema nelle aule dei tribunali. «Continua a crescere il numero di medici che ci chiede di essere tutelato in sede legale – afferma il Direttore Generale di Consulcesi Group, Simona Gori – e la cifra degli oltre 5mila ricorsi raccolti dall’inizio dell’anno si aggiorna di ora in ora. Abbiamo portato la questione già all’attenzione dei tribunali ma, considerando la mole di richiesta, stiamo lanciando una nuova azione collettiva». Allo Stato, e non alla propria azienda, si può contestare la violazione della direttiva europea per aver lavorato quindi oltre le 48 ore settimanali e senza godere di riposi di almeno 11 ore tra un turno e l’altro, come imposto da Bruxelles. Ogni medico può arrivare ad ottenere rimborsi fino a 80mila euro.