«Dotatemi delle giuste protezioni e andrò io oggi stesso a sostituire i colleghi in quarantena nel lodigiano. Il vero problema non è la gravità dell’infezione ma la velocità di contagio, che potrebbe far saltare i servizi sanitari»
Mentre i numeri dei contagiati da Covid-19 in Italia non accennano ad arrestarsi, e l’epidemia si estende a sempre più Regioni italiane, la medicina territoriale si trova a fare i conti con una sfida al limite delle proprie capacità. E se negli ospedali ci si attrezza con tende esterne per il pre-triage allo scopo di selezionare e filtrare gli accessi contendendo il rischio di diffusione dell’epidemia, le stesse misure sarebbero auspicabili anche negli studi dei medici di famiglia ma, al momento, tali misure sarebbero di fatto inapplicabili a livello logistico e pratico. Sanità Informazione ha sentito sul punto il segretario generale della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg) Silvestro Scotti.
«Dal momento che hanno allestito i pre-triage per gli accessi in Pronto soccorso – osserva Scotti – mi sembrerebbe doveroso porre anche noi medici di famiglia nelle condizioni giuste per attuarli. Purtroppo però è un caso eccezionale che si possa fare un triage nell’ambulatorio del medico di famiglia, anche perché negli ambulatori ad accogliere l’utenza in prima battuta c’è un collaboratore di studio e non il medico. E come fa il collaboratore di studio a capire se un determinato paziente è da indirizzare in un’area dedicata? È evidente – prosegue – che si tratta di un modello ospedaliero trasferito al territorio che così com’è non può trovarvi applicazione, a nostro avviso. Rimane in questo momento l’indicazione fondamentale ai pazienti che è quella della necessità, in caso di afflizioni respiratorie di qualunque tipo, di procedere con il triage telefonico con il proprio medico curante. Un’altra variabile – continua Scotti – nell’applicazione del pre-triage agli ambulatori è se il medico di base sia dotato o meno di dispositivi di protezione individuale. Se non lo è, deve fermarsi al triage telefonico. Se invece è dotato di questi dispositivi e ha un ambulatorio che logisticamente permette una sorta di preselezione, la programmazione di un arrivo in ambulatorio in orario diverso rispetto a quelli normalmente previsti al pubblico, una stanza apposita che può essere utilizzata solo ed esclusivamente per questi casi, allora – conclude – si può prevedere una visita ambulatoriale».
Sulle conseguenze di una negligenza a livello istituzionale nel rispondere adeguatamente alle esigenze dei medici di famiglia in queste circostanze, il segretario generale Fimmg non ha dubbi: sarebbero catastrofiche.
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«Ad oggi – osserva – sono 17 in Italia i medici di famiglia in quarantena. Se continuiamo a questi ritmi, gli ospedali si preparino a prendere il posto degli ambulatori di medicina generale. Il problema è strutturale: data la situazione di questi giorni, se l’ambulatorio di un mmg non è dotato di questi dispositivi di protezione individuale, è necessario prevedere un altro sistema di supporto. E le posso dire che in questo momento questi dispositivi per i medici di medicina generale non ci sono affatto. Ed è ovvio che a parte il triage telefonico il mmg non può fare altro, se non gestire l’attesa del paziente in evoluzione al domicilio nei casi più lievi. Se io medico di famiglia – spiega Scotti – ho un contatto con un paziente che poi risulta positivo al coronavirus, io vado in quarantena. E lascio tutti gli altri pazienti senza medico. Perché come può immaginare soprattutto nelle zone a rischio è estremamente difficile trovare medici che sostituiscano quelli in quarantena. Purtroppo finora, sulle nostre reali necessità, abbiamo sentito solo chiacchiere. Dotatemi delle giuste protezioni e andrò io oggi stesso a sostituire i colleghi in quarantena nel lodigiano. Questo – continua Scotti – per darle un’idea di quanto velocemente il sistema possa collassare, se non si pongono in essere misure efficaci in tempi strettissimi. Non si sta parlando di quello che è successo in un mese, stiamo parlando di cose successe nel giro di quattro giorni. Si sta facendo passare il messaggio sbagliato, il vero problema non è la gravità dell’infezione ma la velocità di contagio. Questa velocità e l’inevitabile coinvolgimento di una larga fetta di popolazione è quello che fa saltare i servizi sanitari. In questo momento – aggiunge – misure efficaci stanno venendo prese per la parte relativa agli ospedali, non ancora per la parte relativa al territorio. E l’uno, purtroppo, condizionerà l’altro, perché se salta il territorio salta anche l’ospedale. Immagini di fare un pre-triage fuori da un ospedale dividendo le afflizioni respiratorie da tutte le altre. Senza un supporto territoriale – conclude Scotti – la fila fuori dall’ospedale sarà inimmaginabile, con solo un paziente su cento effettivamente affetto da coronavirus… che inevitabilmente contagerà in quella sede tutti gli altri».
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