Il professore di Microbiologia e virologia Andrea Crisanti ha coordinato lo studio sugli abitanti di Vo’ Euganeo: «Con il tampone abbiamo identificato fin dall’inizio sia le persone asintomatiche che le sintomatiche: avendole isolate, il tasso di infezione è calato di circa 12 volte». Poi sottolinea: «Bene le zone rosse ma serve sorveglianza attiva altrimenti diventano grandi incubatori»
«Uno dei cardini del controllo delle epidemie è la sorveglianza attiva. Io sono stato in Africa e per 25 anni mi sono occupato di controllo di malaria. In tutti i casi in cui ha funzionato bisognava andare casa per casa. Non ci sono alternative». Ha le idee chiare Andrea Crisanti, docente di Microbiologia e virologia e direttore dell’Unità complessa diagnostica di microbiologia della Asl di Padova, in prima linea in Veneto nella guerra al coronavirus.
L’idea dei “tamponi di massa”, attuata nel comune di Vo’ Euganeo, sarà presto operativa in tutto il Veneto e si preannuncia come l’unica vera arma al momento per contrastare l’epidemia. Sorprendenti i risultati ottenuti nel comune del padovano: oggi nel paese ci sono solo persone positive asintomatiche in rigido isolamento. «A Vo’ abbiamo testato due volte tutta la popolazione – spiega Crisanti a Sanità Informazione -. I dati di Vo’ indicano senza dubbio che aver fatto i tamponi a tutti ha permesso di identificare fin dall’inizio sia le persone asintomatiche che le sintomatiche: avendole isolate, il tasso di infezione è calato di circa 12 volte. Nella prima analisi c’era un tasso di infezione del 3%, nella seconda era calato al 2,5 per mille, più di dieci volte. Questo dimostra che aver eseguito screening su tutta la popolazione ha avuto un impatto importante. È come se potessimo festeggiare in Italia un calo di dieci volte dei positivi».
Risulta evidente dunque da questo studio che un ruolo decisivo nella propagazione dell’epidemia lo giocano le persone asintomatiche, contrariamente a quello che si pensava all’inizio. «Adesso a Vo’ sappiamo quanti sono gli asintomatici, perché nel secondo campionamento questo 2,5 per mille è tutto composto da asintomatici. Li abbiamo messi in isolamento e ora teoricamente Vo’ dovrebbe essere in sicurezza – continua Crisanti, che vanta un passato da ricercatore all’Imperial College di Londra -. Sicuramente gli asintomatici giocano un ruolo importante. Identificare i contatti positivi e gli asintomatici è una cosa fondamentale. È l’architrave di tutte le azioni che adesso vogliamo fare. Il Veneto sta per potenziare moltissimo la capacità di fare tamponi in tutta la regione. Faremo in primis il tampone a tutte le categorie a rischio, tutte quelle più esposte al pubblico: carabinieri, polizia, cassieri, operatori che stanno a contatto col pubblico, personale sanitario. Dopo andremo a casa di tutti quelli che lamentano sintomi: li testeremo, se sono positivi li mettiamo in isolamento e mettiamo in isolamento tutti i contatti, oltre a testare tutti quelli nel raggio di 100 metri».
Quello che Crisanti racconta è una parte essenziale del cosiddetto modello Veneto: nell’ultimo periodo, mentre in Lombardia i casi sono aumentati di sette volte, in Veneto sono triplicati. Quando però a Crisanti viene chiesto come mai le indicazioni a livello nazionale sono state, al contrario di quanto da lui sostenuto, di ridurre i tamponi, lui preferisce non rispondere: «Le polemiche le lasciamo alla fine di questa storia. Adesso la cosa più importante è risolvere uniti il problema, una volta risolto il problema avremo modo di approfondire. Ma quello che è successo a Vo’ è emblematico. Una volta fatto il test a tutti e messi tutti in isolamento non ci sono stati più casi gravi. Là poteva scoppiare un focolaio come quello di Codogno».
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Crisanti approva le misure di contenimento adottate dal governo «purché si usino i tamponi», altrimenti non servono a niente e «rischiamo la creazione di grossi incubatori. Le faccio un esempio analogo al caso di Vo’ che è la nave Diamond Prince. Hanno fatto il contrario di quello che abbiamo fatto a Vo’. Via via che le persone manifestavano sintomi, le testavano, se risultavano positive le portavano fuori. Hanno trasformato la nave in un incubatore. Quello che bisognava fare era testare tutti il primo giorno, testare tutti tre giorni dopo ed eliminare i positivi dalla nave: certamente non si sarebbe arrivati a 700 casi. Se lei tiene le zone rosse e non fa una azione di sorveglianza attiva è inutile, diventa solo una trappola e le persone una dopo l’altra si ammalano».
Dunque per il professore di virologia è positivo tutto ciò che può aiutare al contenimento dei contatti: «Sono misure senz’altro necessarie. Il virus per espandersi sfrutta la socialità dell’uomo. Qualsiasi azione che la riduce avrà sicuramente un impatto sulla trasmissione. Il problema è che ci sono tante persone asintomatiche che però non sono confinate e hanno ancora, sebbene ridotta, una capacità di socializzare e quindi di trasmettere il virus». Ma perché in alcune persone si manifestano sintomi e in altre no? «Ancora non si sa. Potrebbe essere una differente suscettibilità genetica, una differente carica virale all’inizio, mille cose. Ancora è presto per saperlo».
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