Intervista al responsabile delle field operations della ONG che ha allestito l’ospedale da campo a Bergamo: «Non è molto diverso dai miei giorni in Sierra Leone»
Il 7 novembre del 2015, esattamente 42 giorni dopo che veniva somministrato il test all’ultima persona dichiarata positiva, si concludeva l’epidemia di Ebola in Africa equatoriale occidentale: Sierra Leone, Liberia e Guinea. Una malattia aggressiva che si è portata via oltre 11mila persone: «Abbiamo avuto la sfortuna di essere lì in quei mesi, e abbiamo visto scene davvero molto simili a quanto ho poi rincontrato nei miei giorni bergamaschi».
A parlare è Pietro Parrino: entrato in Emergency nel 1995, è oggi il responsabile delle field operations per la nota ONG che, assieme alle altre forze volontarie e non, ha dato il suo contributo anche nelle zone di contagio da Coronavirus. Dopo esperienze in Cambogia, in Afghanistan, in Sudan, Parrino è tornato da pochi giorni da Bergamo, dove ha coordinato l’allestimento dell’ospedale da campo realizzato assieme agli Alpini nella zona fieristica orobica. «Lì ho potuto vedere – racconta raggiunto al telefono da Sanità Informazione – l’attivazione spontanea, volontaria della comunità. Ho visto centinaia di artigiani che hanno lavorato per 8 giorni consecutivi e ci hanno aiutato a tirare su un ospedale da 120 posti in 12 giorni. Ho visto la determinazione di persone che volevano salvare la propria gente in quelle valli così spaventosamente colpite. Tutti hanno dato la propria disponibilità, in qualche modo: dalla società che distribuiva macchinette del caffè mettendole a disposizione di tutti gratuitamente a chi portava pasticcini e chi ha fornito i pasti. Parliamo di zone di valle – continua Parrino – fatte di piccoli paesini e non di grandi città come può essere Milano. Lì le persone si conoscono e si intrecciano di meno. Nei piccoli borghi invece tutti parlavano dei “loro” morti, delle persone che erano mancate. Ci sono paesi con un tasso di mortalità dieci volte superiore al normale. E come ho potuto vedere anche in fenomeni analoghi, alla fine è il fattore umano a fare la differenza».
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Le diversità sono moltissime, infatti, fra Italia, Paese occidentale sviluppato, e le zone dell’Africa subsahariana; moltissime, ma non così determinanti. «Anche in Sierra Leone ci sono gli ospedali, che sono solo posti dove le persone arrivano per farsi curare. Ma il problema deve essere affrontato, ed è stato affrontato, a monte. Quando è arrivato Ebola, noi che eravamo lì da prima con i nostri presìdi che curavano i reduci della guerra civile, abbiamo visto fenomeni del tutto analoghi a quelli visti poi in Italia, intendo a livello di approccio delle persone: prima, il tentativo di pensare che “non fosse così grave”, poi la presa di coscienza, e infine la reazione, quando ci si compatta e si capisce che serve un’azione coordinata, avere delle regole di comportamento condivise. E questo è stato l’unico modo per fare un passo avanti: sentirsi di partecipare ad un progetto comune. Lockdown generale, allora, ma bisogna mangiare e serve un’organizzazione per il cibo e per portare i medicinali; anche lì, da un certo punto in poi, gli ospedali erano pieni e abbiamo iniziato a rimandare a casa le persone, allora devi spiegare alle famiglie cosa fare ma i nuclei familiari si ammalavano e devi pensare ai trattamenti familiari. È la popolazione che sconfigge i virus insieme ai medici: è il fattore umano sociale».
Si parla ora insistentemente di una riforma del Servizio Sanitario Nazionale italiano, come se i giorni del Coronavirus fossero diventati una “wake up call” per i decisori italiani. Anche Parrino è dell’idea che una riforma sia necessaria, ma tale esigenza deve essere correttamente contestualizzata: «Gestire un SSN completamente centralizzato è una enorme difficoltà, bisogna dirselo. Oggi però vediamo che è necessario. Da un lato le Regioni, è vero, sono in grado di rispondere più velocemente ai fenomeni che capitano, dall’altro possiamo vedere che non tutte le Regioni sono in grado di rispondere allo stesso modo; ancora, da un lato le sanità regionali sono più manovrabili, dall’altro in ogni Regione, così, c’è una sanità diversa. Noi pensiamo che la sanità debba essere regolata più centralmente perché questi giorni hanno dimostrato che mettere troppa distanza indebolisce delle reti che, se hai bisogno di riallacciarle, ti prende troppo tempo e l’emergenza intanto dilaga. Credo che nelle prossime settimane – conclude Parrino – si dovranno trovare dei meccanismi di centralizzazione da tenere attivi o che rimangano comunque attivabili».
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