Il direttore dell’unità operativa di Neurologia e Stroke Unit dell’IRCCS Istituto Italiano Auxologico di Milano: «In pazienti affetti da SARS era già stato osservato un cointeressamento del sistema nervoso centrale e periferico, ma il Covid-19 sembra invaderlo con una maggiore affinità rispetto ad altri Coronavirus». Uno studio fotograferà la realtà italiana
Cefalea, vertigini, disturbi dello stato di coscienza, atassia, manifestazioni epilettiche e ictus: sono solo alcuni dei sintomi neurologici osservati nei pazienti affetti da Covid-19. Sintomi che hanno spinto gli scienziati italiani a dedicare un intero studio all’argomento. In un’intervista a Sanità Informazione, il professore Vincenzo Silani, ordinario di Neurologia, direttore della scuola di specializzazione in Neurologia dell’Università degli Studi di Milano e direttore dell’unità operativa di Neurologia e Stroke Unit dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano di Milano, spiega in che modo il Coronavirus potrebbe colpire il sistema nervoso e quali sintomi potrebbero presentarsi in pazienti con Covid-19.
Professor Silani, in questi giorni, in Italia, è stato avviato uno studio per valutare il coinvolgimento del sistema nervoso centrale e periferico nei pazienti affetti da Covid-19. A quale scopo?
«L’obiettivo è di fotografare la realtà italiana, delineando la percentuale dei pazienti in cui il virus abbia interessato anche il sistema nervoso centrale o periferico. Questo coinvolgimento ci è stato suggerito da un’analisi della letteratura cinese e dei casi verificatisi in Iran. Ma lo studio italiano potrà fare la differenza in termini di numeri: grazie al contributo ed al patrocinio della Società Italiana di Neurologia (SIN) sarà possibile raccogliere, anche in pochi mesi, casi di pazienti degenti in tutta Italia. Saranno i medici – neurologi, anestesisti, pneumologi – a compilare la check-list che abbiamo messo a punto per la raccolta dei dati».
L’11 aprile gli scienziati cinesi hanno pubblicato un report che evidenzia un coinvolgimento del sistema nervoso centrale e periferico nel 37% dei pazienti affetti da Covid-19. Un dato importante, dunque. Ma non crede che sia stato comunicato piuttosto in ritardo rispetto all’esplosione della pandemia in Cina?
«È abbastanza curioso che la prima segnalazione sia stata così tardiva. La spiegazione di questo ritardo non è chiara, ma si possono fare delle ipotesi. La prima è che la gravità delle condizioni cliniche in Cina non avesse permesso di focalizzarsi su questo aspetto, ma ritengo che questa sia un’ipotesi abbastanza remota. La seconda possibilità è che vi sia un assetto genetico completamente diverso nella popolazione italiana, rispetto alla popolazione asiatica (sappiamo, ad esempio, che il genere femminile appare per certi aspetti “risparmiato” rispetto a quello maschile). Ovviamente, ci potrebbero essere spiegazioni molto più complesse che comprenderemo in seguito, non ultima quella che il virus in Italia sia mutato e che, di conseguenza, nella popolazione italiana la sintomatologia neurologica sia molto più marcata».
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A quali sintomi si riferisce in particolare?
«Molti pazienti in Italia hanno riferito la perdita dell’olfatto e del gusto in modo sistematico e serio, talvolta con un postumo a lungo termine. E questo dato non era affatto emerso in modo così prorompente dal report degli scienziati cinesi. Altre complicanze sono rappresentate da accidenti cerebrovascolari o ictus, crisi epilettiche e stati confusionali. È stato osservato anche un coinvolgimento del sistema nervoso periferico con polineuropatie, come la sindrome di Guillain–Barré (che si manifesta con paralisi progressiva agli arti, di solito prima le gambe e poi le braccia, ndr) o la sindrome di Miller-Fisher (una variante rara della sindrome di Guillain-Barré, che interessa i nervi cranici, ndr). In altre parole, siamo di fronte ad uno scenario ancora da definire, un puzzle molto complesso che, per qualche strano motivo, non è emerso dalla letteratura cinese. O almeno non in modo così evidente come, al contrario, sembra accadere in Italia».
Quanto durerà questo studio?
«Lo studio NEURO-COVID durerà 12 mesi, ma il primo obiettivo è fornire una fotografia nel più breve tempo possibile, ragionevolmente anche entro due o tre mesi. Seguirà un follow-up: i pazienti affetti da Covid-19 che hanno manifestato un coinvolgimento del sistema nervoso centrale o periferico saranno visitati a distanza di sei mesi per valutare le conseguenze del virus. Soprattutto per trovare una risposta ad una domanda di fondamentale importanza: un’infezione da Covid-19 che interessa il sistema nervoso avrà delle ripercussioni successivamente oppure no?».
Precedentemente in altri virus era stato già osservato il coinvolgimento del sistema nervoso centrale o periferico?
«Assolutamente sì. In pazienti affetti da SARS era stato osservato un cointeressamento del sistema nervoso centrale (in maggioranza) e periferico. Ma i casi clinici descritti sono pochi e confrontandoli con l’attuale pandemia potremmo giungere alla conclusione che il Covid-19 invade il sistema nervoso centrale o periferico con una maggiore affinità rispetto ad altri virus della famiglia dei Coronavirus».
Esiste una spiegazione scientifica che può meglio chiarire questa “maggiore affinità”?
«Il Covid-19 agisce tramite una molecola recettoriale, ACE2, che risulta ampiamente coinvolta nei meccanismi regolatori del sistema neurovegetativo e del controllo pressorio. ACE2 è anche espresso nell’encefalo e nei centri regolatori, appunto, del respiro e della pressione. Un meccanismo neuroinfiammatorio potrebbe essere alla base della disfunzione neuronale, acceso da una complessa interazione tra il virus e l’ospite».
L’Italia ha dunque il vantaggio di aver osservato per prima questo coinvolgimento del sistema nervoso centrale o periferico nei pazienti affetti da Covid-19. Come facciamo a conservare questo privilegio, a rimanere in vantaggio?
«Prima di tutto chiudendo la check-list neurologica nel tempo più breve possibile. Poi, sarà necessario incentivare la ricerca di base, perché sarà questa a permetterci di definire sottotipi di pazienti, così da poterli curare in modo personalizzato. Oggi si parla tanto di medicina personalizzata e anche nel caso del Covid-19 potrebbe rappresentare la strada giusta da seguire: utilizzare strategie particolari e differenti per la cura di pazienti affetti da Covid-19 con coinvolgimento del sistema nervoso, rispetto a coloro che presentano solo sintomi respiratori».
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