Sanità 28 Aprile 2020 13:30

«Sono un medico di famiglia con il coronavirus perché non avevo i DPI. Mi sento in colpa, ma provo anche rabbia»

La lettera di un medico inglese: «La professione non sarà più la stessa. A mani nude in trincea, abbiamo ignorato le indicazioni dell’Italia e dell’OMS»

«Sono un medico di famiglia con il coronavirus perché non avevo i DPI. Mi sento in colpa, ma provo anche rabbia»

Potrebbe essere stata scritta a Milano, a Cuneo, a Palermo o a Sassari. In qualunque città italiana alle prese con il Covid-19, insomma. Invece questa lettera firmata da un medico di famiglia viene dall’Inghilterra. Pubblicata dal Guardian, testimonia come al di là della Manica i problemi, le emozioni e le inefficienze del sistema siano uguali a quelli raccontati e denunciati dai medici al di qua delle Alpi.

«Sono cinque settimane non lavoro perché positiva al Covid-19 – racconta la dottoressa anonima -. Ancora boccheggio quando cerco di parlare, e ogni giorno spero in un miglioramento miracoloso. Faccio fatica a rifarmi il letto, figuriamoci tornare a curare i miei pazienti. Ma non posso che sentirmi in colpa. Per aver aumentato il carico di lavoro dei miei colleghi costretti a sostituirmi; per il medico che è venuto a visitarmi, senza mascherina per proteggersi, quando faticavo così tanto a respirare che mi ha dovuto costringere ad andare in ospedale; per i miei figli, che mi hanno vista quando non riuscivo a respirare e non sapevano se mi avrebbero più incontrata».

LEGGI ANCHE: LOMBARDIA, LO SFOGO DEI MEDICI DI MEDICINA GENERALE: «CI DICEVANO CHE IL TAMPONE NON SERVIVA. COSI’ SIAMO DIVENTATI VETTORI DEL VIRUS»

«Ma oltre a questo, sono anche arrabbiata. Non siamo stati protetti. I dispositivi individuali di protezione servono a tutti coloro che sono esposti al virus, non solo a chi lavora nei reparti Covid. Ai medici di famiglia, a chi lavora in ambulanza, alle case di riposo, solo per citare qualche esempio. Invece ci sembrava di dover andare in trincea a mani nude. E avevamo paura. La professione non sarà mai più la stessa», continua il medico di famiglia.

«Già da metà febbraio era chiaro che l’epidemia avrebbe colpito l’Inghilterra, eppure le linee guida non sono state cambiate. I miei amici in Italia non capivano cosa stessimo aspettando, perché non stessimo reagendo. Dicevano di iniziare i tamponi, l’OMS ci invitava a fare i test. Ma niente è cambiato».

«Alla fine di febbraio ho visitato molti bambini con mal di gola e mal di testa, e tanti pazienti che si sono dimenticati di dirmi che erano stati in Spagna o erano passati per Milano. Dopo qualche giorno ho iniziato ad avere i sintomi del coronavirus. E cosa mi ha consigliato il Sistema sanitario nazionale? Sette giorni di isolamento, nessun tampone. Per fortuna il settimo giorno, quando sembrava stessi meglio, era venerdì, perché al nono le mie condizioni sono improvvisamente peggiorate. Non riuscivo a respirare, la febbre è salita. Ho chiamato il numero dedicato all’emergenza e mi hanno detto di contattare il mio medico di famiglia. La paura rendeva il respiro ancor più difficile. Se fossi stata un mio paziente avrei chiamato l’ambulanza, ma non riuscivo a superare la sensazione che altri avessero più bisogno dei medici di me», continua la lettera.

LEGGI ANCHE: IL SACRIFICIO EMOTIVO DEI SANITARI, BERARDI (W4O): «IL 70% TEME DI CONTAGIARE LA FAMIGLIA, IL 30% HA CAMBIATO CASA»

«All’inizio della terza settimana, quando ormai non riuscivo più a parlare, un collega mi ha convinta ad andare in ospedale. Mi ci ha accompagnata mio marito, ma lasciare i miei figli è stato il momento più duro, più traumatico, che io abbia mai vissuto. Sapere che il mio lavoro avrebbe potuto lasciarli senza madre mi faceva sentire egoista».

«In ospedale il personale non era sufficientemente protetto. Cercavo di tenerli a distanza, ma è impossibile durante una visita. La Tac ha mostrato la diffusione del Covid-19, ma non mi è mai stato fatto il tampone, quindi non rientro nelle statistiche. Volevano ricoverarmi ma piangendo ho chiesto di mandarmi a casa. Mi hanno accontentata solo perché sono un medico».

«Non ero mai stata tanto male – continua la dottoressa -. Credevo di morire. Ora che sto meglio, il mio figlio maggiore non vuole che torni a lavorare perché pensa che sia troppo pericoloso. Ma io non vedo l’ora di ricominciare. Odio sapere che i miei colleghi sono ancora in prima linea, a combattere, e che io non possa far nulla per aiutarli».

 

ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SANITÀ INFORMAZIONE PER RIMANERE SEMPRE AGGIORNATO

Articoli correlati
Nasce il progetto PMLAb per i pazienti COVID-19 immunocompromessi
La gestione del paziente immunocompromesso con COVID-19 richiede una particolare attenzione, che si concretizza con le Profilassi Pre-Esposizione con anticorpi monoclonali. A questo scopo è nato il progetto Prevention Management LAboratory (PMLAb), presentato oggi a Roma
Covid, alcune persone potrebbero aver perso l’olfatto per sempre? L’ipotesi allarmante in uno studio
La perdita dell'olfatto a causa di Covid-19 potrebbe durare a lungo o addirittura per sempre. Uno studio rivela che una persona su 20 non l'ha recuperato dopo 18 mesi
Covid-19 e vaccini: i numeri in Italia e nel mondo
Ad oggi, 28 febbraio 2023, sono 675.188.796 i casi di Covid-19 in tutto il mondo e 6.870.894 i decessi. Mappa elaborata dalla Johns Hopkins CSSE. I casi in Italia L’ultimo bollettino disponibile (23 febbraio 2023): Oggi in Italia il totale delle persone che hanno contratto il virus è di 25.576.852 (4.720 in più rispetto a ieri). Il […]
Si possono bere alcolici quando si risulta positivi al Sars-CoV-2?
Il consumo di alcolici è controindicato quando si è positivi al virus Sars CoV-2. Gli studi mostrano infatti che gli alcolici possono compromettere il sistema immunitario
Dopo quanto tempo ci si può ammalare di nuovo di Covid-19?
Gli studi indicano che le reinfezioni con Omicron sono più frequenti. Una ricerca suggerisce un intervallo tra i 90 e i 640 giorni, un'altra tra i 20 e i 60 giorni
GLI ARTICOLI PIU’ LETTI
Advocacy e Associazioni

Percorso Regolatorio farmaci Aifa: i pazienti devono partecipare ai processi decisionali. Presentato il progetto InPags

Attraverso il progetto InPags, coordinato da Rarelab, discussi 5 dei possibili punti da sviluppare per definire criteri e modalità. Obiettivo colmare il gap tra Italia e altri Paesi europei in ...
Advocacy e Associazioni

Disability Card: “Una nuova frontiera europea per i diritti delle persone con disabilità”. A che punto siamo

La Disability Card e l'European Parking Card sono strumenti che mirano a facilitare l'accesso ai servizi e a uniformare i diritti in tutta Europa. L'intervista all'avvocato Giovanni Paolo Sperti, seg...
Sanità

I migliori ospedali d’Italia? Sul podio Careggi, l’Aou Marche e l’Humanitas di Rozzano

A fotografare le performance di 1.363 ospedali pubblici e privati nel 2023 è il Programma nazionale sititi di Agenas. Il nuovo report mostra un aumento dei  ricoveri programmati e diu...