Il caldo non uccide il virus, ma ne rende più difficile la trasmissione. Il professore di Scienze della Terra dell’università Federico II di Napoli: «Queste temperature non contribuiscono a “tenere in vita” il Covid-19, ma ne facilitano il passaggio da una persona all’altra. Se il caldo fosse sufficiente ad annientare il virus, allora non sopravvivrebbe nemmeno nel corpo umano»
Cosa hanno in comune Wuhan e le province a nord di Milano? Temperature e tasso di umidità, almeno nei periodi in cui è esplosa la pandemia. A dimostrarlo uno studio di Nicola Scafetta, professore di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse all’università Federico II di Napoli, che correla la diffusione del Covid-19 a livello mondiale e le condizioni meteo.
«La mia ricerca – dice Nicola Scafetta – è cominciata osservando una similitudine di temperature tra i principali focolai dell’epidemia da Covid-19 nei periodi in cui i contagi hanno raggiunto il loro picco massimo di diffusione. La pandemia sembra peggiorare in presenza di temperature comprese tra i 4°C e i 12°C. Da gennaio a marzo, nella Cina Centrale, in Iran, in Turchia, nel bacino mediterraneo occidentale (Italia, Spagna e Francia), fino agli Stati Uniti d’America, sono proprio queste le temperature registrate. Da qui, continuando a monitorare l’andamento delle temperature da marzo ad aprile, è stato possibile constatare che le aree più colpite si sono rapidamente spostate verso il nord Europa, in zone come la Francia, l’Inghilterra, la Germania, i Paesi Bassi, fino alla Svezia. Contemporaneamente – aggiunge il professore di Scienze della Terra – è continuata la diffusione negli Stati Uniti con un forte incremento del numero di contagiati».
E se è vero che il virus si propaga meglio nelle zone dove le temperature sono comprese tra i 4 e i 12 gradi, è vero anche il contrario: «Tutte le regioni meridionali della Terra, dall’Africa al centro e sud America fino al sud dell’Asia, dove le temperature sono più elevate, sono state colpite molto meno. Così come è accaduto in Russia e in Canada, dove le temperature sono assai più rigide. La zona tropicale e l’intero emisfero meridionale, escluse ristrette zone meridionali – sottolinea il docente – potrebbero scampare ad una forte pandemia grazie al clima sufficientemente caldo durante l’intero anno».
La stessa teoria può essere confermata anche soffermandosi sulla sola situazione italiana: «L’epidemia si è diffusa maggiormente in Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Veneto, e Marche. Le regioni centro-meridionali sono state invece evidentemente meno colpite. Così, man mano che si percorre la Penisola verso sud – sottolinea Scafetta – l’infezione sembra sia stata meno aggressiva».
E per avere un’ulteriore conferma sarà necessario aspettare ancora un mese, o forse meno: «Con il sopraggiungere del caldo, già a maggio, ma soprattutto a giugno – aggiunge il professore -, la situazione dovrebbe decisamente migliorare».
Ma attenzione, il caldo non uccide il virus, ne rende più difficile la trasmissione: «Le temperature comprese nella fascia a maggiore rischio (tra i 4°C e gli 12°C) non contribuiscono a “tenere in vita” il Covid-19, ma ne facilitano il passaggio da una persona all’altra. Se il caldo fosse sufficiente ad uccidere il virus – specifica l’esperto – allora questo non sopravvivrebbe nemmeno nel corpo umano ad una temperatura media di 37 gradi».
E allora qual è la spiegazione scientifica che può supportare questa teoria che collega il Covid alle condizioni meteo? «In presenza di una temperatura tra i 4°C e i 12°C le goccioline che noi emettiamo con il respiro, le stesse che veicolano il virus da uomo ad uomo, fluttuano nell’aria. Con il troppo caldo evaporano, mentre – commenta Scafetta – se fa troppo freddo diventano grandi e pesanti e, anziché rimanere sospese, cadono più rapidamente al suolo».
Ma il clima estivo rispetto ad uno molto rigido ha una marcia in più: «Quando fa caldo si trascorre più tempo all’aria aperta, si spalancano le finestre più spesso, il nostro corpo produce più vitamina D per una maggiore esposizione al sole e – conclude il professore – mangiando frutta e verdura di stagione, ricche di vitamine e nutrienti, il nostro sistema immunitario diventa più forte».
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