La presidente degli infermieri: «Implementare lavoro di equipe della rete territoriale per una sinergia vincente»
Territorio, domicilio, persona. Il percorso della continuità assistenziale, che sarà necessario implementare per affrontare la fase 2 dell’emergenza Covid, è estremamente lineare e logico. Semplice, sulla carta. Ma essenziale. Guardando a ritroso, alla fase 1 dell’epidemia, sembra chiaro che il vario grado di capillarità raggiunta dalla medicina territoriale nelle Regioni sia stato uno dei fattori dirimenti per la gestione dell’epidemia. Tassello fondamentale e trasversale del nostro sistema sanitario, in prima linea in questa emergenza, è stato senza dubbio il comparto infermieristico. Insieme alla dottoressa Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione nazionale ordini delle professioni infermieristiche (FNOPI), abbiamo esplorato le principali novità e istanze portate avanti dalla categoria, legate non solo alle circostanze attuali, ma al futuro professionale degli infermieri. Cominciando da alcune riflessioni: «Oggettivamente, ci è arrivato addosso uno tsunami di una portata inimmaginabile – commenta la presidente FNOPI -. A metà gennaio il ministero della Salute, nonostante la situazione in Italia fosse ancora tranquilla, ha istituito una task force al cui tavolo siamo stati da subito invitati a partecipare. Tutto ciò che era possibile controllare, soprattutto dal punto di vista epidemiologico, è stato adeguatamente monitorato – ammette – ma un vulnus importante c’è stato: mi riferisco alla scarsa qualità e quantità dei DPI in dotazione al personale sanitario. Questo dato, soprattutto nei venti giorni iniziali dell’epidemia, ha rappresentato una forte criticità. Ora – osserva Mangiacavalli – che iniziamo questa nuova fase caratterizzata da nuove consapevolezze, anche dal punto di vista scientifico, fortunatamente i DPI non mancano: sono aumentate le consegne, ma anche le conoscenze sul loro corretto utilizzo».
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Sull’atteggiamento da assumere e sulle priorità da adottare nella fase 2 la presidente FNOPI ha le idee chiare: «Il timore c’è, non sarebbe umano non essere preoccupati – dichiara – e il fatto che i contagi stiano diminuendo non deve indurci ad abbassare la guardia. Quello che dobbiamo imparare è convivere con questa situazione, da cittadini, da operatori sanitari, e da pazienti. Questo si traduce nella necessità di mettere in sicurezza sia il sistema sanitario e il personale che vi opera, sia la nostra vita civile e sociale. Per noi infermieri – spiega – la partita si giocherà essenzialmente sul versante del territorio: uno dei grandi nodi della fase 1 è stato proprio il coinvolgimento marginale della medicina territoriale, tranne in alcune Regioni dove questa rete è ben sviluppata. Fondamentale – prosegue Mangiacavalli – il lavoro di equipe: medici di famiglia, pediatri di famiglia e infermiere di famiglia».
Una delle figure chiave della fase 2 dovrà essere l’infermiere di famiglia. Un’istituzione sanitaria a fortissima vocazione territoriale, che operi in sinergia e collaborazione con il medico di famiglia per massimizzare le potenzialità della rete di continuità assistenziale.
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«L’infermiere di famiglia – spiega Mangiacavalli – è una figura già definita dal Patto per la Salute siglato lo scorso dicembre, ed è compito delle Regioni approntare gli strumenti per renderlo effettivamente operativo. Come FNOPI – dichiara – abbiamo instaurato un dialogo con il presidente e le commissioni della Conferenza Stato-Regioni per incardinare una cornice di riferimento cui le singole Regioni possano riferirsi. La Stato-Regioni di febbraio ha peraltro siglato l’intesa sugli ospedali di comunità, strutture residenziali a gestione infermieristica con una supervisione critica ad opera del medico di famiglia, in cui tenere in osservazione i pazienti più critici invece di inviarli in Pronto Soccorso».
Come sottolineato dalla presidente degli infermieri, il sistema sanitario e le istituzioni hanno già messo nero su bianco tutto ciò che serve per la fase 2. Ora si tratta di implementarlo. «Le persone – spiega – vanno seguite il più possibile al loro domicilio attraverso la rete territoriale, in un regime di sicurezza. Oltre all’infermiere di famiglia occorre sviluppare un sistema di assistenza sanitaria plenaria che comprenda tutte le evoluzioni di questi anni, come la telemedicina e in generale la possibilità di seguire da remoto il paziente. Il focus deve essere la casa della persona: è da lì che deve partire il percorso per la sua sicurezza. Questa – conclude Mangiacavalli – è la nostra maggiore sfida per questa fase 2, una sfida che il nostro Paese ha gli strumenti per affrontare, sia per come il nostro sistema sanitario è strutturato, sia per le competenze dei professionisti che vi operano».
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