Il presidente della Società italiana della medicina di emergenza-urgenza: «Durante il lockdown, al nord Italia il calo di accessi nei pronto soccorso ha superato il 50%. Al Sud, le richieste di cure negli stessi reparti sono diminuite di 15-30 punti percentuali»
Mentre le strade cittadine sono sempre più popolate, le attività commerciali riaprono i battenti o si preparano ad affrontare la ripartenza, anche i pronto soccorso italiani ricominciano ad affollarsi. «Nella prima settimana della fase 2 gli accessi sono aumentati di circa il 30% rispetto alla fase 1», spiega Salvatore Manca, presidente della Simeu, la Società italiana della medicina di emergenza-urgenza.
Durante il lockdown il calo di presenze nei reparti di primo soccorso aveva raggiunto il 60%: «Al nord Italia – aggiunge Manca -, dove si è registrato un maggior numero di contagi da Covid-19, la diminuzione degli accessi nei pronto soccorso ha raggiunto e superato la quota del 50%, con picchi del 60 in Lombardia. Al Sud, invece, dove i casi di Coronavirus sono stati numericamente inferiori, le richieste di cure negli stessi reparti sono calate del 15-30%».
«È stata soprattutto la paura di contrarre il Covid-19 a frenare gli accessi durante la fase acuta della pandemia – continua il presidente Simeu -. Le restrizioni vigenti nella fase 1, poi, hanno contribuito al calo del numero degli infortuni lievi. Restando in casa, infatti, è diminuita la piccola traumatologia legata all’attività ludica, così come con la chiusura di molte attività si sono verificati meno infortuni sul lavoro. Infine, le situazioni di minore gravità sono state spesso gestite a livello territoriale. I codici bianchi o verdi, infatti, vengono normalmente trattati al pronto soccorso solo per una questione di comodità, essendo un reparto aperto 24 ore su 24, e non per una reale necessità».
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Ma che il numero di accessi giornalieri sia attualmente aumentato non significa che nei pronto soccorso italiani si possa respirare aria di “normalità”: «Le regole per l’accesso al reparto sono rimaste le stesse della fase 1 – sottolinea Manca-. Non bisogna abbassare la guardia: molti dei pazienti affetti da Covid-19 sono asintomatici e, quindi, chiunque entri al pronto soccorso deve essere sottoposto ad un pre-triage ed indirizzato verso percorsi differenziati, a seconda delle sue condizioni. Resta operativa anche la zona grigia, riservata a tutti quei pazienti dalla diagnosi non chiara, e si continuano ad utilizzare gli appositi dispositivi di sicurezza, mantenendo, laddove possibile, il distanziamento sociale».
Intanto, la Società italiana della medicina di emergenza-urgenza ha diffuso, proprio in questi giorni, le linee guida per gestire i pronto soccorso durante questa nuova fase dell’emergenza: «Facendo tesoro dell’esperienza vissuta nei mesi scorsi – dice Manca – abbiamo messo nero su bianco i criteri utili ad affrontare il post-lockdown. Il documento è stato condiviso con gli oltre 24mila contatti che la nostra Società ha in tutta Italia, allo scopo di uniformare l’assistenza su tutto il territorio nazionale».
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Abitudini di gestione del sistema di urgenza che potrebbero essere conservate anche ad emergenza finita: «I percorsi di accesso così strutturati – commenta il presidente Simeu – e l’adozione di sistemi di sicurezza hanno favorito l’attività all’interno del pronto soccorso. Anche l’atteggiamento dei cittadini è nettamente più positivo. Per questo, auspichiamo che un tale miglioramento del sistema possa essere conservato anche in futuro».
Ma se personale sanitario e pazienti hanno superato a pieni voti la prova del cambiamento, più difficile è stato adeguare le strutture esistenti alle esigenze di gestione dell’emergenza Coronavirus: «Medici, infermieri e tutti coloro che lavorano all’interno dei pronto soccorso – spiega il presidente Simeu – sono altamente specializzati e preparati alla gestione delle situazioni di emergenza. Meno adeguate, invece, sono le strutture, soprattutto quelle dei vecchi ospedali, dove l’aera riservata al pronto soccorso non è concepita come un luogo di diagnosi e cura, ma piuttosto come una zona di passaggio. Per questo motivo, di recente, ho inviato una lettera al presidente del Consiglio dei Ministri per chiedere degli interventi strutturali che possano modificare il modo di valutare l’attività del pronto soccorso, non più solo in termini numerici, ma anche di qualità e tipologia delle prestazioni».
Già individuate le priorità su cui investire ad emergenza finita:«Oltre all’adeguamento delle strutture esistenti, sarà necessario rafforzare l’assistenza territoriale. Se i cittadini hanno dei punti di riferimento locali non saranno sempre costretti a rivolgersi all’ospedale e i pronto soccorso – conclude Manca – saranno così meno affollati e sgravati dalla gestione dei casi di minore gravità».
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