Dalla Redazione 20 Maggio 2020 18:35

Grasselli (FVM): «Se l’unico diritto “fondamentale” della Costituzione è tutelato con questi risultati, è urgente riformare l’intero sistema»

Ripercorrere questi tre mesi di emergenza Covid-19 è un buon esercizio per comprendere quali sono stati gli errori della Fase 1, perché se la Fase 2 non sarà governata con la massima attenzione potrebbe essere necessario ritornare da capo a contrastare la diffusione dei focolai con nuove perdite di vite e costi esiziali per la […]

di Aldo Grasselli, Segretario generale FVM

Ripercorrere questi tre mesi di emergenza Covid-19 è un buon esercizio per comprendere quali sono stati gli errori della Fase 1, perché se la Fase 2 non sarà governata con la massima attenzione potrebbe essere necessario ritornare da capo a contrastare la diffusione dei focolai con nuove perdite di vite e costi esiziali per la nostra economia.

Nessuno potrà nascondere un palese errore sistematico: le avvisaglie del rischio pandemia – da parte dell’OMS da molti anni e più recentemente da molteplici studi (ultimo quello famoso della Fondazione Bill Gates) – sono state trasfuse in piani pandemici che anche l’Italia aveva preparato ma poi messo nel cassetto.

Il tema della prevenzione primaria e della protezione della salute umana, animale ed ambientale, tenendo presente il principio One World-One Health-One Medicine, è stato usato per abbellire piani sanitari regionali e piani nazionali della prevenzione che non hanno mai ottenuto la giusta attenzione e i finanziamenti necessari per diventare effettivi ed efficaci. Tutti i sanitari sanno che prevenire costa meno che curare (soprattutto per i risvolti socio-economici che ora ben conosciamo), anche i politici dovrebbero saperlo, ora – a conti fatti – lo sanno tutti i cittadini del mondo.

I Dipartimenti di Prevenzione delle ASL delle Regioni sono stati progressivamente svuotati di risorse e professionalità che il blocco del turn over ha aggravato, privilegiando le assunzioni del comparto ospedaliero. Ma anche il comparto ospedaliero, a causa di un forsennato taglio della spesa sanitaria si è trovato senza gli specialisti e gli infermieri sufficienti.

Iniziata l’emergenza ai problemi strutturali si sono sommati errori nelle decisioni di sanità pubblica e polizia sanitaria. L’unico modo per contenere una malattia infettiva altamente contagiosa è quello di soffocarne i focolai sul nascere chiudendo le zone infette ad ogni spostamento. Su questo fronte si è tardato per non urtare gli interessi delle economie locali, ma generando un danno molto maggiore alle altre economie nazionali dove il virus incontrollato è poi dilagato. Il rigore applicato a poche migliaia di imprese e di lavoratori avrebbe risparmiato il blocco di una intera nazione o lo avrebbe limitato nella durata e nei costi. Col senno di poi è chiaro a tutti che è più facile salvare qualche regione che tutta l’economia nazionale, al momento delle decisioni i decisori hanno perso tempo prezioso. In campo veterinario le epidemie sono all’ordine del giorno, e si gestiscono imponendo sul nascere severe zone di infezione totalmente chiuse e zone circostanti di protezione con restrizioni proporzionali, e questo ha consentito di sconfiggere in poche settimane l’influenza aviaria e la peste suina, l’unico metodo che possiamo agire in assenza di vaccino e che ha funzionato con vantaggi notevoli per le zone esterne ai provvedimenti di polizia sanitaria che rimangono indenni come in Cina, Corea e Germania.

A questa sostanziale impreparazione a gestire e applicare un piano pandemico – con l’aggravante della competizione istituzionale ed elettorale tra Stato e Regioni – si deve aggiungere che gli operatori sanitari sono stati mandati a lavorare nei focolai senza le necessarie protezioni previste dal piano pandemico ma non accantonate (mascherine, calzari, camici, visiere, etc.), questo ricorda molto la campagna di Russia del Regio Esercito con le scarpe di cartone dell’ultima guerra.

Qualsiasi Piano contro una pandemia senza mascherine e tamponi serve come una stufa d’inverno senza legna. Concentrare tutte le energie progettuali logistiche e economiche sulla costruzione (alla cinese) di reparti per le Terapie intensive (sovradimensionati, ridimensionati e infine inutilizzati) è come affrontare la finale del mondiale di calcio senza i due tempi e i supplementari, ma solo ai rigori, lasciando tirare in porta solo gli altri, cioè il virus che scorrazza sul campo, e noi tutti sulla linea di porta.

Imparare da questo fallimento e dall’inconsistenza delle ragioni di una sanità che è stata aziendalizzata e pensa solo ai DRG o al fatturato, all’accaparramento dei pazienti (delle altre Aziende o Regioni) in elezione, alla cura sacrosanta delle patologie cronico degenerative e non sa più organizzare una medicina territoriale di comunità e fare prevenzione sulle malattie infettive. Malattie queste ultime che, come vediamo invece, stanno aumentando di frequenza e gravità.

Il Servizio sanitario nazionale deve avere una strategia nazionale e deve rispondere all’art. 32 della Costituzione “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Se l’unico diritto “fondamentale” della Costituzione è tutelato con questi risultati è urgente riformare l’intero sistema. Le epidemie (ne vedremo arrivare altre) non si sconfiggono costruendo reparti di terapie intensive ma arginando il contagio sul territorio con i Dipartimenti di Prevenzione moderni, informatizzati, in rete con gli istituti di ricerca e di analisi epidemiologica, e soprattutto di dimensioni gestibili con personale adeguato. Costruendo una rete di servizi efficaci ed efficienti che prendano in carico i nostri anziani in prossimità o al loro domicilio, magari coordinando in modo efficiente i medici di famiglia e i pediatri del territorio. Siamo la nazione più vecchia del vecchio continente, questo comporta una grande attenzione alle RSA che è palesemente mancata.

Ma il territorio – col definanziamento continuo della sanità – è sempre subalterno a scelte emergenziali sul fronte clinico. Possiamo imparare moto da questa pandemia, tornare alla (asfittica) “normalità” precedente del Ssn sarebbe un gravissimo e definitivo errore.

 

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